Il principe dimenticato, la recensione
A quasi dieci anni da The Artist, Michel Hazanavicius torna al cinema con Il principe dimenticato, un un coming of age divertente ma non proprio riuscito
Le premesse sono infatti quelle da racconto di formazione: Djibi (Omar Sy) è un padre vedovo che si occupa da solo della figlia Sofia (Sarah Gaye). Il momento più bello della giornata di entrambi è quando, prima di andare a letto, Djibi le racconta una favola di cui lui è il principe e lei la principessa da salvare. Ma le storie che racconta il padre – ed è soprattutto qui che si vede Hazanavicius – si trasformano in colorati e immaginifici set cinematografici, comprensivi di teatri di posa, camerini, uffici della produzione, abitati da buffi e stralunati personaggi, e da dove si innesta il racconto parallelo a quello della trama principale. Arrivata infatti alle medie Sofia cambia i suoi “film mentali” e Djibi deve fare i conti con un nuovo principe azzurro, una nuova star del set: Max (Néotis Ronzon), il compagno di scuola per cui Sofia ha una cotta. In un continuo altalenare tra la vicenda reale e quella del sogno, Djibi, grazie all’aiuto della nuova vicina di casa (Bérénice Bejo), dovrà fare i conti con le nuove esigenze della figlia, risolvendo al contempo i suoi problemi con il passato.
Forse a stonare è proprio il focus sul personaggio dell’adulto e non su quello della figlia, che quasi passa in secondo piano: se nelle premesse il film poteva quindi essere un divertente coming of age a parti invertite, perdendo la premessa narrativa tra effetti speciali – di cui spesso si percepisce la volontà puramente mostrativa – e nella confusione tra realtà del film e film mentale, finita l’esaltazione per la pur brillante trovata iniziale si esaurisce anche l’inventiva registica, che non ha più controllo sulla storia.