Il Principe di Roma, la recensione

Ne Il Principe di Roma, Canto di Natale incontra Il Marchese del Grillo, disegnando una parabola natalizia dai buoni sentimenti

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La nostra recensione de Il Principe di Roma, al cinema dal 17 novembre

"Non saranno forse la tua coscienza?", chiede a un certo punto Teta (Giulia Bevilacqua) a Bartolomeo Proietti (Marco Giallini) parlando dei fantasmi che quest'ultimo crede di vedere. Che nell'ultimo periodo la commedia italiana provi a filtrare col fantastico è ormai assodato: un'esempio lo era proprio Io sono Babbo Natale, precedente lavoro del regista Edoardo Falcone. Che spesso, tra le due anime, a vincere sia poi la commedia non ci stupisce, e non sarebbe di per sé un problema, se il risultato finale fosse pienamente soddisfacente. Anche Il Principe di Roma unisce queste due anime, a cui ne aggiunge però una terza, edificante ed educativa, che prende il sopravvento nel finale e viene costantemente esplicitata da frasi come quella riportata sopra, per fare il modo che il messaggio arrivi chiaro a tutti.

Il Principe di Roma ha come protagonista il personaggio di Giallini, uomo ricchissimo, ma avido e arrogante, che vive nella Roma del 1829. I tanti soldi non bastano a renderlo felice, perché il suo più grande desiderio è acquisire un titolo nobiliare: stringe così un patto con il Principe Accoramboni (Sergio Rubini) per ottenere in moglie sua figlia, una giovane ragazza che in verità lo disprezza. Lui però non se ne accorge, così come non lo toccano le attenzioni di chi gli sta accanto. Per convogliare a nozze, deve recuperare un'ingente dote, ma qualcosa va storto. Gli fanno allora visita tre fantasmi molto sui generis (Beatrice Cenci, Papa Borgia, Giordano Bruno) per un viaggio tra passato, presente e futuro. Un viaggio per capire i propri errori e provare a rimediare, prima che sia troppo tardi.

Il Canto di Natale di Dickens incontra certa una certa commedia italiana "romanesca", in particolare Il Marchese del Grillo, la cui celebre sentenza "Io sono io e voi non siete un cazzo" calza a pennello per il protagonista de Il Principe di Roma, sgradevole e strafottente, vero mattatore di tutta la storia. Nell'interpretazione di Giallini risiede il principale punto di forza del film: le sue battute acide, i suoi atteggiamenti altezzosi caratterizzano bene il personaggio. Tra i fantasmi, va a segno il Borgia di Giuseppe Battiston, caricatura riuscita del celebre Papa, meno il Bruno di un Filippo Timi in un eccessivo overacting. Un po' incolore invece la Cenci di Denise Tantucci, sovrastata da Giallini. Nel cast si segnalano anche il nobile di cui veste i panni Rubini e la serva Teta (Bevilacqua), che hanno però troppo poco spazio per incidere.

Nella prima parte, il film centra dunque alcune battute e dinamiche comiche, ma comincia a funzionare meno quando poi l'orizzonte narrativo diventa chiaro, e alla magia del fantastico subentra la rassicurante parabola di redenzione del protagonista. I soldi o i titoli nobiliari non danno la felicità ma è l'amore verso il prossimo a contare, per non invecchiare tristi e soli: su questi assunti ruota l'intera storia. Le risate così scarseggiano e i buoni sentimenti trionfano in maniera assai prevedibile, facendo rimpiangere il cinismo dei personaggi sordiani e dei modelli a cui Il Principe di Roma aspira. Qui non emergono infatti i vizi della società, perché i poveri sono sempre portatori di buoni sentimenti e intenzioni, mentre dall'alto si guarda e si giudica il "cattivo" protagonista. Quello che rimane è una commedia natalizia per famiglie, simpatica ma un po' innocua.

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