Il Principe di Roma, la recensione
Ne Il Principe di Roma, Canto di Natale incontra Il Marchese del Grillo, disegnando una parabola natalizia dai buoni sentimenti
La nostra recensione de Il Principe di Roma, al cinema dal 17 novembre
Il Principe di Roma ha come protagonista il personaggio di Giallini, uomo ricchissimo, ma avido e arrogante, che vive nella Roma del 1829. I tanti soldi non bastano a renderlo felice, perché il suo più grande desiderio è acquisire un titolo nobiliare: stringe così un patto con il Principe Accoramboni (Sergio Rubini) per ottenere in moglie sua figlia, una giovane ragazza che in verità lo disprezza. Lui però non se ne accorge, così come non lo toccano le attenzioni di chi gli sta accanto. Per convogliare a nozze, deve recuperare un'ingente dote, ma qualcosa va storto. Gli fanno allora visita tre fantasmi molto sui generis (Beatrice Cenci, Papa Borgia, Giordano Bruno) per un viaggio tra passato, presente e futuro. Un viaggio per capire i propri errori e provare a rimediare, prima che sia troppo tardi.
Nella prima parte, il film centra dunque alcune battute e dinamiche comiche, ma comincia a funzionare meno quando poi l'orizzonte narrativo diventa chiaro, e alla magia del fantastico subentra la rassicurante parabola di redenzione del protagonista. I soldi o i titoli nobiliari non danno la felicità ma è l'amore verso il prossimo a contare, per non invecchiare tristi e soli: su questi assunti ruota l'intera storia. Le risate così scarseggiano e i buoni sentimenti trionfano in maniera assai prevedibile, facendo rimpiangere il cinismo dei personaggi sordiani e dei modelli a cui Il Principe di Roma aspira. Qui non emergono infatti i vizi della società, perché i poveri sono sempre portatori di buoni sentimenti e intenzioni, mentre dall'alto si guarda e si giudica il "cattivo" protagonista. Quello che rimane è una commedia natalizia per famiglie, simpatica ma un po' innocua.