Il Principe del Deserto - la recensione

Il film di Jean-Jacques Annaud sulla scoperta del petrolio nei paesi arabi finisce per non accontentare né lo spettatore occidentale né quello mediorientale...

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Quando un film ha l’ambizione di volere raccontare, seppure romanzata, la storia della scoperta del petrolio nei paesi arabi all’inizio del XX secolo e le ripercussioni che la ricchezza dell’olio nero portò nella società musulmana, avere alle spalle, tra i produttori, il Doha Film Institute (il Qatar è un emirato di lunga data) non getta certo le premesse per farci assistere a un atto di accusa contro le storture e l’aggressività del modello capitalista.

E infatti il Principe del deserto raccontato da Jean-Jacques Annaud partendo dal romanzo Paese delle ombre corte di Hans Ruesch del 1957 ha grandi problemi di credibilità fin dall’inizio. Due capi di altrettante comunità di un’imprecisata zona araba decidono di mettere da parte l’ascia di guerra e lasciare che la larga fascia di territorio che divide i loro due regni sia una zona libera, senza padrone. Appena però si scopre che lì si trova il petrolio, uno cerca di convincere l’altro ad accettare i soldi stranieri, l’altro si oppone perchè vede nei soldi e nella modernità un grande pericolo per il suo popolo: “Un giorno non ci riconosceremo più”. Tra i due ci dovrà essere nuovamente guerra, ma un intricato rapporto di parentele, tra figli naturali e adottati, nonché un matrimonio con una sorella acquisita e chi più ne ha più ne metta, rende la vicenda il più Harmony possibile. Quando poi c’è da tirare le fila del discorso ecco che, nonostante tanti “se” e “ma”, tutto si fa più semplice: ben venga il petrolio e, anzi, mandiamo anche il nostro più avido membro della comunità a fare valere i nostri interessi negli Stati Uniti. Viva le lobby.

Annaud è abile nel girare le belle scene nel deserto, il suo occhio è ancora in grado di regalare belle intuizioni (la scoperta dell’acqua è emozionante) e il racconto in definitiva scorre fluido senza annoiare come una favoletta. Peccato però che al regista francese manchi l’ambizione di un tempo: sembra che ormai scelga le sceneggiature sulla base delle location e il deserto, a suo dire, gli piace tantissimo...

E’ davvero imbarazzante invece il ruolo cucito addosso a Freida Pinto (che da sola illumina comunque lo schermo), mentre lo sguardo torvo di Antonio Banderas fa il paio con il volto falsamente mediterraneo dell’inglese Mark Strong (che ringiovanito e con la barba sembra Raz Degan).

Inutile, comunque, cercare di prendere appunti sulla storia araba partendo da questo film: tutto è così all’acqua di rose che si rischierebbe facilmente per prendere abbagli. Presentato al Festival di Marrakech 2011, Il Principe del Deserto (che noi abbiamo visto in sala con un pubblico in larga parte marocchino) finisce così con il non soddisfare nessuno, né l’occidentale medio che si dovrebbe accontentare di qualche scena di battaglia e di una visione molto americana della storia dei paesi mediorientali, né gli spettatori di Paesi moderatamente musulmani che, forse, meriterebbero più lucidità di analisi una volta tanto che si parla del loro passato prossimo. Peccato.

 
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