Verso l’inizio
Il Premio menziona
Il Posto Delle Fragole di
Ingmar Bergman, lo fa in un atto di onestà intellettuale (i personaggi sostengono che quello che stanno facendo somiglia a quel che accade in quel film), perché nella sua prima parte l'opera seconda da regista di
Alessandro Gassman sembra andare a parare proprio lì: un grande intellettuale è stato insignito del nobel e deve andarlo a ritirare, sceglie di viaggiare fino alla Svezia in macchina per attraversare i luoghi della sua infanzia vedendo davanti a sé i propri ricordi. I paragoni finiscono qui però, perché non solo
Il Premio nel ricalcare
Bergman lo rifà più in omaggio alle film commission e alle belle inquadrature dei paesaggi che al film in sè, non solo
Il Premio è in realtà una commedia molto episodica dal tono dolcetto e ruffiano, non certo quello rigoroso e senza scampo di
Il Posto Delle Fragole, ma soprattutto perché il suo schema e il suo obiettivo sono proprio altri.
Infatti dopo il primo momento di ricordi e bilanci di una vita scopriamo che Il Premio aderisce in pieno allo schema sicuro e senza rischi della commedia italiana recente: a spostarsi dalla città c’è una famiglia i cui rapporti sono da ricucire, e lo spostamento li fa passare dalla modernità della loro vita in cui ognuno ha un ruolo, alla campagna e provincia in cui ritrovare se stessi con poco, in cui essere a confronto con ciò che per vigliaccheria volevano evitare, un passaggio che è soprattutto un viaggio indietro nel tempo verso una vita meno frenetica con meno tecnologia e più autentica. Se ve lo state chiedendo ci sarà anche la classica “sfida sportiva inaspettata” da cui dipenderà la possibilità di proseguire il viaggio.
Sarebbe facile leggere in questo film in cui
Gassman assieme ad
Anna Foglietta interpreta anche uno dei due figli del grandissimo artista celebrato (
Gigi Proietti), una sublimazione del suo rapporto con un padre ingombrante. Ma sarebbe psicologia da quattro soldi (il personaggio di
Alessandro Gassman è un figlio che ha fatto tutt’altro rispetto al padre, ha rifiutato la vita intellettuale per una sportiva, quindi non simile a sé). Più interessante semmai è capire come mai abbia deciso di girare una commedia come tutte le altre che vengono prodotte in Italia (fughe, disprezzo della modernità, dolcezza dozzinale, nessuna reale enfasi sull’umorismo, nessuna costruzione delle gag in scrittura, ricerca maniacale della consuetudine), senza nessuna particolarità e senza nessuna vera ragione d’esistere se non la più blanda lamentela della modernità che disumanizza gli individui.
Se qualcosa esce da Il Premio infatti è che l’arroganza, la vanità e la maniera diretta in cui il grande patriarca insulta, raggira e manipola i figli è un modo di risolvere le loro vite con sincerità, invece dei sotterfugi di cui sono vittime da sempre. Se qualcosa esce da questa commedia di squadra (ma è poco e purtroppo non passa mai per l’ironia o per una scrittura realmente di commedia) è che la tecnologia, e per esteso la modernità, è qualcosa da rifiutare se non si vuole risultare ridicoli. Sarà la tecnologia a rendere ridicola sia una grande e anziana attrice (che ha un laboratorio in casa in cui farsi ibernare gestito da dottori asiatici in camice bianco!), sia Anna Foglietta (che fa la blogger/influencer, e sta sempre a parlare con una videocamerina con la quale riprende il viaggio per il suo blog), sia anche Rocco Papaleo (assistente personale del grande scrittore, rimasto senza una donna che guarda film porno la sera su internet con il silente assenso del suo datore di lavoro).
Infine, quasi per senso del dovere, ad un certo punto si uniranno alla compagnia dei rappresentanti della generazione dei figli, come sempre considerati migliori dei genitori eppure privi di vera personalità, privi di centralità, privi della possibilità di fare parte effettivamente del film. Un bell'addobbo ottimista: fanno belle cose e hanno una loro vita interessante ed equilibrata (all’estero, dove l’armonia con la modernità è possibile), ma comunque in un angolo del film.