Il Premio, la recensione
Il secondo film di Alessandro Gassman, Il Premio è una commedia che cerca in ogni modo di essere come tutte le altre. Riuscendoci
Infatti dopo il primo momento di ricordi e bilanci di una vita scopriamo che Il Premio aderisce in pieno allo schema sicuro e senza rischi della commedia italiana recente: a spostarsi dalla città c’è una famiglia i cui rapporti sono da ricucire, e lo spostamento li fa passare dalla modernità della loro vita in cui ognuno ha un ruolo, alla campagna e provincia in cui ritrovare se stessi con poco, in cui essere a confronto con ciò che per vigliaccheria volevano evitare, un passaggio che è soprattutto un viaggio indietro nel tempo verso una vita meno frenetica con meno tecnologia e più autentica. Se ve lo state chiedendo ci sarà anche la classica “sfida sportiva inaspettata” da cui dipenderà la possibilità di proseguire il viaggio.
Sarebbe facile leggere in questo film in cui Gassman assieme ad Anna Foglietta interpreta anche uno dei due figli del grandissimo artista celebrato (Gigi Proietti), una sublimazione del suo rapporto con un padre ingombrante. Ma sarebbe psicologia da quattro soldi (il personaggio di Alessandro Gassman è un figlio che ha fatto tutt’altro rispetto al padre, ha rifiutato la vita intellettuale per una sportiva, quindi non simile a sé). Più interessante semmai è capire come mai abbia deciso di girare una commedia come tutte le altre che vengono prodotte in Italia (fughe, disprezzo della modernità, dolcezza dozzinale, nessuna reale enfasi sull’umorismo, nessuna costruzione delle gag in scrittura, ricerca maniacale della consuetudine), senza nessuna particolarità e senza nessuna vera ragione d’esistere se non la più blanda lamentela della modernità che disumanizza gli individui.Se qualcosa esce da Il Premio infatti è che l’arroganza, la vanità e la maniera diretta in cui il grande patriarca insulta, raggira e manipola i figli è un modo di risolvere le loro vite con sincerità, invece dei sotterfugi di cui sono vittime da sempre. Se qualcosa esce da questa commedia di squadra (ma è poco e purtroppo non passa mai per l’ironia o per una scrittura realmente di commedia) è che la tecnologia, e per esteso la modernità, è qualcosa da rifiutare se non si vuole risultare ridicoli. Sarà la tecnologia a rendere ridicola sia una grande e anziana attrice (che ha un laboratorio in casa in cui farsi ibernare gestito da dottori asiatici in camice bianco!), sia Anna Foglietta (che fa la blogger/influencer, e sta sempre a parlare con una videocamerina con la quale riprende il viaggio per il suo blog), sia anche Rocco Papaleo (assistente personale del grande scrittore, rimasto senza una donna che guarda film porno la sera su internet con il silente assenso del suo datore di lavoro).
Infine, quasi per senso del dovere, ad un certo punto si uniranno alla compagnia dei rappresentanti della generazione dei figli, come sempre considerati migliori dei genitori eppure privi di vera personalità, privi di centralità, privi della possibilità di fare parte effettivamente del film. Un bell'addobbo ottimista: fanno belle cose e hanno una loro vita interessante ed equilibrata (all’estero, dove l’armonia con la modernità è possibile), ma comunque in un angolo del film.