Il peggior lavoro della mia vita, la recensione

Thomas Gilou non riesce quindi a trovare alcun equilibrio tra le parti, facendoci involontariamente ridere di ciò che è serio e lasciandoci indifferenti verso ciò che invece dovrebbe far ridere.

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La recensione di Il peggior lavoro della mia vita, al cinema dal 24 marzo

È talmente edulcorato, sorridente ed ingenuo Il peggior lavoro della mia vita che definirlo un “feel-good movie” è davvero il minimo. Non che di per sé sia sbagliato esserlo: questa commedia di Thomas Gilou su un galeotto che trova nella cura degli anziani la sua ragione di vita è, senza ombra di dubbio, volutamente rassicurante e leggera. Il vero problema di Il peggior lavoro della mia vita è invece quello della credibilità, poiché non riesce mai a trovare un modo convincente (o quanto meno chiaro e coerente) per conciliare la sua volontà di divertimento - demenziale e sempliciotta - con quella seria e moralizzante con cui insiste sul piano narrativo.

Fin dalle premesse Il peggior lavoro della mia vita mette in chiaro - se non altro - la sua direzione, seminando a manciate gli indizi che ci porteranno alla sua scontata conclusione. ll protagonista Milann (Kev Adams) è un orfano che non ha mai avuto una famiglia, non ha voglia di lavorare e odia gli anziani. Vive sul divano del suo amico avvocato (anche lui orfano) senza una ragione di vita. Finito a fare servizi socialmente utili per un incidente - guarda caso - con una vecchietta, Milann viene mandato a lavorare… in una casa di cura. La vita insomma spinge con una bella gomitata Milann verso questa esperienza che gli cambierà la vita, grazie alla quale non solo troverà una nuova famiglia allargata (tra i vecchietti c’è anche Gérard Depardieu, figura chiave) ma diventerà lui stesso un eroe proattivo, che si batte per aiutare il prossimo.

Di commedia sociale in teoria dovrebbe trattarsi, e gli ingredienti ci sarebbero anche. È però il modo in cui questi elementi vengono usati, buttati lì alla bell’e meglio, tra coincidenze e forzature ben poco divertenti e al limite dell’irrazionale (gli anziani non si sono mai chiesti in due anni perché non fanno passeggiate e a tutti sembra normale), che fanno sembrare Il peggior lavoro della mia vita più che altro una sitcom mancata (in tutti i sensi). A sketch banali ripetuti allo sfinimento e sempre uguali a sé stessi, seguono senza un ordine chiaro lunghe parti in cui la trama viene finalmente sviluppata, con esiti però decisamente confusionari - con, per esempio, la svolta centrale della storia che accade negli ultimi venti minuti.

Il peggior lavoro della mia vita non riesce a regalare né alcun piacere comico né una qualche soddisfazione narrativa. I personaggi, anche se alcuni più di altri, in generale non vanno mai oltre la macchietta (no, nemmeno Depardieu) mentre prendono forma su dialoghi scontati in cui i sentimenti sono sempre sul piatto - tutti si dicono sempre come si sentono, cosa stanno facendo, vogliono fare…

Thomas Gilou non riesce quindi a trovare alcun equilibrio tra le parti, facendoci involontariamente ridere di ciò che è serio e lasciandoci indifferenti verso ciò che, invece, dovrebbe far ridere.

Siete d’accordo con la nostra recensione di Il peggior lavoro della mia vita? Scrivetelo nei commenti!

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