Il pataffio, la recensione
Sulla scia del medioevo di Brancaleone, Francesco Lagi gira un film slabbrato e deficitario proprio lì dove in passato aveva brillato
La recensione di Il pataffio, in sala dal 18 agosto, presentato a Locarno 75
Dopo un film di incredibile sensibilità come Quasi Natale, Francesco Lagi torna alla commedia (con cui aveva iniziato) ma la verve è ai minimi storici. Il pataffio è un film nel quale la scrittura è slabbrata, diradata e priva di conflitti, tensioni e tutto ciò che anima una storia. Uno in cui gli eventi si susseguono non tanto seguendo un filo logico (che c’è ma è blando) quanto assecondando l’importanza degli attori coinvolti. I personaggi interagiscono tra di loro non perché abbiano bisogno di farlo con quelle persone nello specifico ma perché sono interpretati da attori di primo piano e quindi vengono coinvolti. I rapporti che stringono (eccetto quelli che esistono prima che il film inizi) sono tutti scarsamente motivati e di importanza spesso nulla.
Più che divertirsi a prendere in giro l’ipercorrettismo delle classi medie inferiori, come facevano spesso Age e Scarpelli (che proprio dall’uso di certi termini e dall’ignoranza dei registri traevano spesso la loro satira di costume) questo film lavora sulla parola come strumento di oppressione ed elemento rivelatore di ideologie. Siamo nel medioevo e quindi il nobile è un tiranno dei poveri, uno che prima era anch’egli poveraccio e ora non vede l’ora di godere del nuovo status, ma i poveri si alleano in una specie di prefigurazione della coscienza di classe contro il potere. Purtroppo però in Il pataffio accade quel che spesso succede quando si applicano oggi schemi ed ideologie di altri anni (il libro è del 1978 e Malerba è nato nel 1927). I mutamenti sociali e politici attribuiscono nuovi significati a vecchie dinamiche e così quella che senza dubbio nasceva per essere un’appassionata ode della volontà popolare e dell’aggregazione degli umili contro i forti, quasi rivoluzionaria, oggi sembra un maldestro inno all’antielitarismo e alla democrazia diretta come mezzo per prendere qualsiasi decisione.