Il papà di Giovanna

Bologna, anni trenta. Una famiglia viene sconvolta da una figlia con gravi problemi mentali, mentre il padre cerca di salvare tutti. Il film di Avati è didascalico, mentre Silvio Orlando sconta un personaggio monocorde...

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Recensione a cura di ColinMckenzie

TitoloIl papà di GiovannaRegiaPupi AvatiCast

Silvio Orlando,    Francesca Neri,    Ezio Greggio, Alba Rohrwacher, Serena Grandi, Manuela Morabito

Uscita12 settembre 2008

Di fronte ad una pellicola come Il papà di Giovanna, il sottoscritto deve ammettere una certa difficoltà a scrivere una recensione. Impossibile stroncare un prodotto di questo tipo, che non contiene elementi che te lo facciano veramente odiare. Pupi Avati, si vede chiaramente, vuole bene ai suoi personaggi, cosa che in un cinema italiano fatto di registi distaccati e freddi non è certo un merito da poco. Ma, francamente, è difficile amare un prodotto del genere, in cui di passioni vere se ne vedono poche, così come i rischi presi dai realizzatori. L'impressione è che il film voglia convincere il pubblico ad emozionarsi, ma non riesca effettivamente a farlo coi soli mezzi cinematografici e quindi punti sui ricattini (voce off o manicomi che siano). Ci sarebbe da chiedere alla massa di critici che a Venezia hanno preferito questo film ad un titolo commovente come The Wrestler quali sarebbero le qualità artistiche che li hanno convinti in tal senso (ma, forse, trattasi solo di interessi da botteguccia personale).

L'inizio sarebbe anche discreto. Per i primi trenta minuti, il ritratto di una certa Italia fascista (per convinzione o per semplice disinteresse) è molto interessante. Soprattutto, emergono fin dall'inizio delle tensioni sotterranee tra i protagonisti che sembrano poter venire sfruttate bene. Purtroppo, così non capita, perché nella seconda metà del film si decide di prendere un'altra direzione, in cui il protagonista diventa una sorta di martire/figura cristologica che si sacrifica per il bene di tutti. In tutto questo, c'è un forte atteggiamento compiacente e didascalico che alla lunga stanca, come tante cose nell'ultima mezz'ora finale (che gira a vuoto), quando entra in scena il conflitto mondiale, anche se in maniera piuttosto raffazzonata. Più che il racconto del periodo fascista (che ha lasciato perplessi alcuni), stupisce l'idea di come certi manicomi (definiti "un inferno" dallo stesso protagonista) possano funzionare e in generale dell'ottimismo del finale, decisamente poco credibile. Peraltro, ci sono tante piccole cose che dimostrano il dilettantismo di certo nostro cinema, come un personaggio importante che a distanza di quindici anni non invecchia minimamente o delle comparse che pronunciano delle battute poco efficaci, per non parlare di certi eccessi teatrali di una madre. Certo, magari sono questioni che si risolvono in cinque secondi, ma più che sufficienti a farci uscire dall'atmosfera del film.

La pellicola, come detto, punta forte su Silvio Orlando e sul suo personaggio. Una scelta che sulla carta non sarebbe sbagliata, ma che alla lunga diventa eccessiva. Se, infatti, nella prima parte l'attore premiato con la Coppa Volpi è complesso e sottile in maniera interessante, alla fine si trasforma in una macchietta, che non fa altro che continuare ad essere accondiscendente verso la figlia. Si potrebbe fare un discorso molto interessante sull'amore che produce effetti negativi, ma viene lasciato cadere nel vuoto e Orlando continua quindi a ripetere le stesse azioni, sfiorando vette di assurdità incredibili e trasformandosi in una sorta di demiurgo scemo. Francesca Neri sarebbe forse il personaggio potenzialmente più interessante, ma è ovvio che risente del troppo spazio dato ad Orlando e non può giocarsi tutte le sue carte come si poteva sperare. Comunque, la sua mi sembra l'interpretazione migliore del lotto di partecipanti.

Alba Rohrwacher fa quello che le viene chiesto nel ruolo che dovrebbe essere il cuore emotivo del film, ma ha un compito veramente difficile, perché la sua Giovanna è un personaggio che non conosciamo e per cui è difficile appassionarsi. Ezio Greggio se la cava meglio del previsto, nonostante è evidente il suo sforzo estremo di non scivolare nella comicità che gli è abituale. Purtroppo per lui, Avati commette due errori notevoli col suo personaggio. Il primo è quello di inquadrarlo in continue occhiate molto espressive verso Francesca Neri, tanto che alla quindicesima occasione anche lo spettatore più disattento inizia a capire che c'è sotto qualcosa e che magari il regista sta trattando il pubblico come se fosse composto da cretini. Inoltre, Greggio è protagonista (nell'ultimo quarto d'ora) della scena più brutta del film, talmente strampalata che all'inizio si pensa che sia un sogno.

Insomma, in Italia escono sicuramente ogni anno decine di pellicole peggiori di questa. Ma se dobbiamo farci notare all'estero con prodotti di questo tipo, che probabilmente fuori dai nostri confini non interessano a nessuno, siamo messi veramente male...

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