Il Nome Della Rosa 1x03 e 1x04, la recensione

La nostra recensione del secondo appuntamento con Il Nome della Rosa

Critico e giornalista cinematografico


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Alla seconda coppia di puntate di Il Nome Della Rosa è evidente che a Giacomo Battiato e al gruppo di sceneggiatori che hanno adattato il romanzo (con lui Andrea Porporati lo stesso John Turturro e Nigel Williams) non interessa davvero il mistero e la scoperta di chi ci sia dietro gli omicidi che colpiscono l’abbazia. Tutte le parti relative alla detection sono messe in minoranza dentro ogni singola puntata. Gli viene dedicato il tempo corretto affinchè siano spiegate ma sono anche le più asciutte e sbrigative. Come avviene nella serialità generalista l’intreccio appare secondario rispetto all’illustrazione di caratteri ed all’esposizione sentimentale.

Non solo detection e scoperta del passato (o del presente) dei personaggi sono rigidamente divise sia dal montaggio sia dalla messa in scena, ma sono anche alternati con una certa rigidità. La dove la serialità moderna fonde le diverse parti, fa in modo che proprio durante l’intrecciarsi (o strecciarsi) della trama il pubblico comprenda in modo fintamente casuale qualcosa sui personaggi, qui l’illustrazione del mondo e dei sentimenti avviene sempre a parte, dopodichè si torna a tuffarsi nei misteri e nella scoperta della verità, come se appartenessero a due mondi diversi o fossero scene dirette da registi diversi.

Da qui viene il tono molto monocorde delle due puntate, il fatto che mai riescano a lavorare correttamente sul mistero. Per Il Nome Della Rosa, il senso di ansia rispetto alla scoperta non viene tanto dalla trama ma da una messa in scena che passa continuamente sui medesimi solchi, ribadisce continuamente quel che ci ha già fatto vedere. Voci sussurrate, punti scuri dell’inquadratura, luci di fiammelle tremolanti e sguardi sgomenti rimandano ad una dimensione di mistero in modo molto elementare, di continuo. Intanto John Turturro fatica moltissimo a far emergere i tratti valevoli di Guglielmo da Baskerville, al contrario di quel che gli capita nelle produzioni migliori sembra davvero non godersi il personaggio ma rimanere sotto il giogo di un film che preferisce sempre illustrare i grandi sentimenti e le grandi ragioni.

La tolleranza, la collera, l’amore, la fiducia, il cinismo, il perdono e la sottigliezza sono quel che emerge dalle scene a cui Il Nome Della Rosa si dedica di più. Così corriamo nella biblioteca dopo che Adso e Guglielmo ne hanno illustrato lo schema e le peculiarietà ma stiamo con i due giovani innamorati tantissimo tempo, ci beiamo in vasca e ci sorbiamo un terribile flashback su Remigio e Salvatore, accompagnato da un’esplorazione stucchevole del loro rapporto oggi, fatto di abbracci, metafore e un campionario di sguardi protratti a lungo, mentre la scoperta di un cadavere, il progredire delle indagini e il ritrovamento degli occhiali di Guglielmo avvengono in una scena sola, rapidissima.

Alla polarizzazione dei momenti contribuisce in maniera determinante un uso criminale dello score, affiancato brutalmente alle scene che deve sottolineare, enfatizzato da primi piani a stringere, vessato fino a che non fuga anche il più piccolo dei dubbi nello spettatore riguardo a come vada letta una certa scena. Gli archi enfatizzano, stemperano, sottolineano romanticamente e acuiscono il truce dramma.

Se la RAI cerca davvero il linguaggio moderno da Il Nome Della Rosa non lo troverà mai con questa meccanica alternanza e questa manipolazione così poco sofisticata del mistero del rimando.

Le uniche gioie sembrano darle gli ambienti, perché anche la recitazione (una delle pietre angolari della nuova televisione) in realtà si rivela sempre più scollata, tarata su standard da cinema (cioè sintetica) invece che su quelli della tv (cioè sul mutamento lento e la creazione senza foga di un’umanità varia e mutevole).

A Battiato si capisce piace molto la componente di eccitazione per l’erudizione del libro che sta trasformando in serie. Questa tuttavia funziona decisamente meglio quando è al servizio del fine principale (come era in Sherlock Holmes, il quale fa sfoggio di erudizione sempre in funzione della scoperta di qualcosa per il caso) che quando è al servizio della definizione di uno status per la serie stessa.

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