Il nastro bianco - La recensione

Germania, 1913. In un villaggio, avvengono strani episodi di violenza senza che si trovi il colpevole. La pellicola di Michael Haneke, Palma d'oro a Cannes, è troppo formale e fredda per convincere veramente...

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Recensione a cura di ColinMckenzie

TitoloIl nastro biancoRegiaMichael Haneke
Cast
Christian Friedel, Leonie Benesch, Mercedes Jadea Diaz,    Michael Kranz, Maria-Victoria Dragus, Sebastian Hülk,    Ursina Lardi
UscitaAutunno 2009 

Molto spesso, intorno al cinema e soprattutto ai Festival girano molti stereotipi. Si dice che si tratti di prodotti per intellettuali, snob, che non comunicano (e non vogliono farlo) col pubblico e che si compiacciono della propria freddezza. Il problema è che in diverse occasioni questi stereotipi si rivelano corretti.

Certo, magari alcuni di questi titoli possono interessare a livello intellettuale e convincere da un punto di vista cerebrale, ma la passione? I sentimenti? Le emozioni? Se, insomma, "il cinema è come una battaglia: amore, odio, azione, violenza. In una parola: emozione", come sosteneva Samuel Fuller, bisogna prendere atto che certe pellicole forse non sono neanche propriamente cinema e non ci tengono neanche a esserlo.

Peraltro, il Festival di Cannes ultimamente sta sempre più spesso assegnando la sua Palma d'oro come un Premio alla carriera, non tanto a un titolo presentato in concorso quell'anno, quanto alla filmografia di un regista, che magari fino a quel momento non è stata riconosciuta con la massima onoreficenza.

Il nastro bianco rientra perfettamente nelle descrizioni fatte sopra. Tecnicamente, è un film realizzato con grande cura. La fotografia in bianco e nero di Christian Berger, senza risultare troppo 'artistica', è sicuramente molto espressiva. La regia di Michael Haneke è assolutamente precisa e misurata, con una padronanza di mezzi da professionista esperto e attentissimo. Ancora meglio va con la recitazione, che presenta un livello notevole in tutto il cast. Insomma, non certo gli elementi che portano normalmente a stroncare un film.

Eppure, Il nastro bianco riesce a irritare, anche parecchio. Perché il clima di grande giallo inquietante, in una cornica storica così importante, sulla carta potrebbe essere notevole. Ma il punto è che Haneke sembra aver poca voglia di rischiare, magari cadendo in qualche eccesso come capitava in precedenti film, ma almeno non risultando spesso piatto e scontato come in molti momenti di questo film.

D'altronde, è evidente che non c'è nessuna voglia di farci interessare ai personaggi, che risultano più figure didascaliche che esseri umani in carne e ossa. A questo proposito, è emblematica la figura del pastore, che chiaramente ricorda il protagonista di Fanny & Alexander di Ingmar Bergman, ma senza minimamente arrivare a quei livelli di morbosità e inquietudine. Per non parlare di una vittima, che capisci che sarà tale (letteralmente) un'ora e mezza prima, fin dal momento in cui la vedi. Le scene più forti, considerando che tutta la violenza (domestica-familiare o esterna) avviene fuori campo, sono dei dialoghi, che tuttavia risultano più funzionali a scandalizzarci piuttosto che a risultare credibili.

Alla fine, la metafora è fin troppo evidente, tanto che forse non è neanche il caso di parlare di metafora, ma di denuncia vera e propria. Solo che non convince, perché tutto (o quasi) sembra troppo costruito e programmato per suscitare vero sdegno, a cominciare (o meglio, terminare) dal confronto conclusivo tra i due protagonisti adulti. Comunque, tutto questo è assolutamente sufficiente (e perfetto) per vincere la Palma d'oro. Mah...

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