Il mondo dietro di te, la recensione

Esmail ha il coraggio di affrontare di petto quel trauma così latente, e lo fa nel modo migliore quando lo racconta con una sola immagine, precisa, chiarissima. È lì che il cinema parla davvero e intravediamo, per qualche secondo, l’abisso di una nazione.

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La recensione di Il mondo dietro di te, disponibile su Netflix dall'8 dicembre

Gli Stati Uniti non hanno mai elaborato l’11 settembre. È un trauma che continua ad essere rievocato dal cinema americano ciclicamente, che si tratti del disaster movie d’invasione più commerciale, del thriller d’autore più psicologico o della fantascienza più spinta. Sono tutte reazioni alla paranoia, un sentimento che Hollywood elabora da sempre (pensiamo al maccartismo) e di cui Il mondo dietro di te è un figlio diretto. 

Di derivazione romanzesca (il libro omonimo di Rumaan Alam) come Rumore Bianco di De Lillo e conseguentemente il film di Noah Baumbach, Il mondo dietro di te di Sam Esmail risponde con il filosofismo più cerebrale, raccontando di un blocco delle tele-comunicazioni e di una guerra invisibile per gettare luce sull’evidente impotenza dell’individuo moderno di fronte al collasso di una società di cui è ormai inseparabile. E per quanto il film sia di per sé mal calibrato a livello narrativo, con un primo atto che sembra non detonare mai, il suo senso di angoscia è talmente limpido attraverso l’uso delle immagini che pare quasi irrinunciabile assistervi: anche solo per capire a che punto è il cinema, e come sta affrontando il passato (e il titolo del film, su questo, parla chiaro).

Il mondo dietro di te racconta di una famiglia di Brooklyn (Julia Roberts ed Ethan Hawke i genitori) che per svagare la testa dal caos cittadino si reca in una villa al mare a Long Island. Quella che doveva essere una vacanza rilassante si trasforma però in un incubo quando un blackout li isola dal mondo e uno sconosciuto (Mahershala Ali) e la figlia bussano alla loro porta reclamando quella che dicono essere casa loro.

Da questo momento il film prende una piega inaspettata e quello che sembrava un film d’invasione alla Parasite comincia a crescere e ad espandersi sempre di più (proprio perché l’ordine di grandezza delle cose che accadono, lo è). Il complottismo che chiaramente lo anima, tuttavia, da evocativo si fa presto ripetitivo - succedono cose che sono indizi e rimangono tali - tanto che la trama, irrisolta, sembra sconnessa dal discorso. Una resistanza che rivela l’origine letteraria del soggetto, ma anche la difficoltà di Sam Esmail e rendere pienamente cinematografica l’esperienza di Il mondo dietro di te.

Di ottimo, si diceva, c’è però l’uso delle immagini. Quella di Tod Campbell è una fotografia audace e narrativa, che lavora insistentemente assieme alla regia di Esmail sull’idea che la storia sia narrata da un occhio esterno e misterioso, che osserva i personaggi da punti di vista impossibili, pedinandoli con percorsi tortuosi, deformandoli e schiacciandoli nello spazio delle cose. È in questo modo che Il mondo dietro di te ci racconta la paranoia, facendoci leggere più a fondo personaggi che per quanto poco convincenti e rivelatori, portano ognuno in sé un segno del discorso: Ethan Hawke è professore di comunicazione all’università, Julia Roberts una pubblicitaria, la figlia è fissata con le serie tv, Mahershala Ali lavora nella finanza. Sono tutte soglie che rimandano a un discorso più grande ma che è talmente ingigantito da risultare inconcludente (e l’obiettivo che il film si pone è di certo molto ambizioso). 

Nonostante ciò, Esmail ha il coraggio di affrontare di petto quel trauma così latente, e lo fa nel modo migliore quando lo racconta con una sola immagine, precisa, chiarissima. È lì che il cinema parla davvero e intravediamo, per qualche secondo, l’abisso di una nazione.

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