Il mio posto è qui, la recensione
Dramma femminista gentile ed empatico, Il mio posto è qui si affianca a C'è ancora domani, guardando al dopoguerra per trovare l'oggi.
La recensione di Il mio posto è qui, il film diretto da Daniela Porto e Cristiano Bortone in arrivo nelle sale il prossimo 9 maggio.
Il biennio 2023-24 sarà ricordato per un’esplosione di film legati dal tema del coming of age femminile. Dalla bambola di Barbie alla Bella Baxter di Povere creature! fino al caso italiano da record di C’è ancora domani, il cinema popolare (anche se autoriale, in tutti e tre gli esempi) ha intercettato i temi del femminismo contemporaneo proponendo ritratti di donne in fieri, burattini che devono diventare “bambine vere” sciogliendo i vincoli dell’ordine maschilista e riscoprendosi soggetti pensanti, sessuati, politici. Il mio posto è qui si colloca in questo panorama con meno ambizioni artistiche, ma con una sua efficacia nel raccontare un cambiamento che è prima di tutto scoperta di sé.
Almeno un riferimento in comune però sembra esserci: parliamo di Una giornata particolare (1977) di Ettore Scola, testo capitale del cinema italiano in cui tutti e due trovano il precedente di grande film “intersezionale” a cui attingere per raccontare la solidarietà fra categorie discriminate. Cortellesi recuperava gli oggetti chiave dell’esistenza di una casalinga (le stoviglie, i fili del bucato). Porto e Bortone l'amicizia fra una donna e un uomo gay come punto d’accesso verso una dimensione di resistenza alle convenzioni sociali. Si poteva forse chiedere di più dal punto di vista della messa in scena, ma tutto sommato Il mio posto è qui rappresenta un esempio di cinema civile onesto - anche nelle simpatie politiche – ed empatico, che non sfigura fra i manifesti più blasonati di quest’anno.