Il mio posto è qui, la recensione

Dramma femminista gentile ed empatico, Il mio posto è qui si affianca a C'è ancora domani, guardando al dopoguerra per trovare l'oggi.

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La recensione di Il mio posto è qui, il film diretto da Daniela Porto e Cristiano Bortone in arrivo nelle sale il prossimo 9 maggio.

Calabria, poco dopo la Seconda guerra mondiale. Marta (Ludovica Martino) è una giovane madre “zitella” in un mondo che non perdona a una donna di non dipendere da un uomo. Il ragazzo che l’ha messa incinta è morto in guerra gettando il disonore sulla famiglia. Pur di adempiere ai suoi doveri è disposta a sposare un uomo più anziano e che non ama. Ma l’amicizia con Lorenzo (Marco Leonardi) vittima della stessa mentalità in quanto gay, la spinge a cercare l’emancipazione attraverso il lavoro e l’istruzione.

Il biennio 2023-24 sarà ricordato per un’esplosione di film legati dal tema del coming of age femminile. Dalla bambola di Barbie alla Bella Baxter di Povere creature! fino al caso italiano da record di C’è ancora domani, il cinema popolare (anche se autoriale, in tutti e tre gli esempi) ha intercettato i temi del femminismo contemporaneo proponendo ritratti di donne in fieri, burattini che devono diventare “bambine vere” sciogliendo i vincoli dell’ordine maschilista e riscoprendosi soggetti pensanti, sessuati, politici. Il mio posto è qui si colloca in questo panorama con meno ambizioni artistiche, ma con una sua efficacia nel raccontare un cambiamento che è prima di tutto scoperta di sé.

Giustamente la critica italiana sta paragonando il film di Cristiano Bortone Daniela Porto (che adatta il suo romanzo omonimo) a quello di Paola Cortellesi. A pochi chilometri di distanza i due lavori si snodano fra gli stessi temi, raccontando un dopoguerra italiano rigidamente patriarcale dove brilla la luce in fondo al tunnel delle prime elezioni a suffragio universale. Ma mentre Cortellesi si appoggia alla commedia e a un immaginario post-post-neorealista condito da ammiccamenti stilistici d’autrice, il duo Porto-Bortone sceglie di mettere in primo piano il realismo della vicenda, optando per uno stile trasparente che lascia parlare le belle location e gli attori.

Almeno un riferimento in comune però sembra esserci: parliamo di Una giornata particolare (1977) di Ettore Scola, testo capitale del cinema italiano in cui tutti e due trovano il precedente di grande film “intersezionale” a cui attingere per raccontare la solidarietà fra categorie discriminate. Cortellesi recuperava gli oggetti chiave dell’esistenza di una casalinga (le stoviglie, i fili del bucato). Porto Bortone l'amicizia fra una donna e un uomo gay come punto d’accesso verso una dimensione di resistenza alle convenzioni sociali. Si poteva forse chiedere di più dal punto di vista della messa in scena, ma tutto sommato Il mio posto è qui rappresenta un esempio di cinema civile onesto - anche nelle simpatie politiche – ed empatico, che non sfigura fra i manifesti più blasonati di quest’anno.

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