Il mio grosso grasso matrimonio greco 3, la recensione
Faticando ad arrivare a un minutaggio accettabile Il mio grosso grasso matrimonio greco 3 rimesta negli stereotipi degli americani in viaggio
La recensione di Il mio grosso grasso matrimonio greco 3, in uscita in sala il 12 ottobre
Tutto prepara alla domanda cruciale del terzo: "Quanto in basso si potrà andare stavolta?". L’ultimo dei titoli di testa non aiuta: questo film oltre a essere scritto da Nia Vardalos, la protagonista (come lo erano già i primi due), è anche diretto da lei che è alla sua seconda regia dopo una prima non proprio di successo nel 2009. Lo spunto è che la famiglia protagonista stavolta va in Grecia, quindi siamo dalle parti di Marigold Hotel, Mamma Mia e tutta quella serie di film in cui un gruppo di persone va in vacanza in un luogo che ne libera la vera essenza. Con in più l’aggravante che loro, gli americani, avranno molto da insegnare ai pastori greci.
Soprattutto, come spesso avviene in questo tipo di film sulle radici di seconde o terze generazioni di immigrati in America, questi vengono descritti tutti nella stessa maniera, là dove il film invece vorrebbe celebrare una specifica provenienza. Cambiando solo le pietanze che portano in giro nei tupperware il film potrebbe parlare di italoamericani, israeloamericani o simili. Stessi stereotipi, stessa maniera di guardare alle loro origini, stessi contrasti e stessi conflitti. Come il fatto che a un certo punto, quando subentra una gran fatica ad arrivare a un minutaggio accettabile (il film dura 90 minuti), tutto si riempia di montaggi musicali e qualcuno dovrà sposare qualcun altro.