Il materiale emotivo, la recensione
Con tutto il bozzettismo dell'ultimo Scola e ben poco dell'equilibrio narrativo dei suoi film migliori, Il materiale emotivo è un film di cui non si sa che fare
I film ambientati a Parigi si dividono in quelli in cui ad un certo punto si vede la torre Eiffel di sfondo e quelli in cui non si vede mai. I primi sono quelli in cui serve che Parigi faccia Parigi, i secondi sono quelli in cui l’obiettivo è fare qualcos’altro della città. Infine ci sono i film come Il materiale emotivo in cui la torre Eiffel si vede dalle finestre degli appartamenti ma anche negli scorci di strade. Dove ti giri ti giri la si vede sempre. È il cinema di Parigi vista dall’estero, quello in cui la colonna sonora non disdegna i clarinetti e un tono generale che la avvicina allo score di Ratatouille o Up. Parigi come la si vede al di fuori della Francia.
Fin da subito, fin dall’apertura della sua scenografia come quella di un palco teatrale, Il materiale emotivo dichiara una visione del mondo fuori dal tempo con garbo, per un film che esso stesso vuole essere fuori dal tempo quando non proprio apertamente vecchio. Ma con grazia.
La vita del libraio sarà scossa dalla conoscenza di un’attrice che apre lui e forse anche la figlia ad un possibile ritorno alle emozioni e all’emotività. Lei è Berenice Bejo che incarna con personalità un’altra declinazione di un modello femminile ricorrente nei film di Castellitto e Mazzantini, la donna ciclone, molto carica e dal carattere caotico, la cui presenza porta sconvolgimenti emotivi nella vita di un tranquillo borghese di buona cultura. Solitamente avviene in modi tragici, in questo film invece, che prende un soggetto di Ettore Scola mai realizzato, lo fa in modi leggeri ma poco cambia nella sostanza.
Purtroppo in questo film se qualcosa c’è di Scola non è l’equilibrio narrativo tra le parti ma il bozzettismo. Specialmente nei comprimari! Con in testa un “simpatico” cameriere napoletano ma poi anche un professore che ruba libri e un prete dalle passioni non dichiarate, Il materiale emotivo abbraccia lo stereotipo alla ricerca dell’eterno, delle grandi considerazioni e delle ponderate riflessioni. Ne esce un film molto senile, pieno di frasi sulla vita, di cui è difficile capire cosa fare. Troppo fuori dal tempo per dire qualcosa di contingente (del resto viene detto apertamente che “l’attualità uccide”), troppo smielato per commuovere, troppo appoggiato ai suoi archetipi visivi e narrativi per appassionare e davvero troppo abbozzato per coinvolgere.
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