Il male non esiste, la recensione

Il vincitore dell'Orso d'oro al festival di Berlino del 2021 è un film dalla scrittura fenomenale a cui sa accoppiare un gran lavoro di messa in scena

Critico e giornalista cinematografico


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La recensione di Il male non esiste, nelle sale dal 10 marzo

Che umiliazione un film come Il male non esiste. Che umiliazione per il resto dei cineasti mettere insieme 4 segmenti separati (uniti da piccoli dettagli) che sono 4 storie diverse girate e scritte con 4 stili differenti, e ognuna di queste, se sviluppata in un lungo potrebbe essere molto migliore della maggior parte dei film che vediamo.

Mohammad Rasoulof non idea un buon film ma ne idea 4, dall’inizio alla fine, compresi di soluzioni formali, impostazioni, scelte di montaggio e di costume tutte diverse e coerenti con le singole storie, e poi li aggrega in un unico racconto di eccezionale e coinvolgente umanità. Un’impresa per descrivere la quale l’unico possibile referente per qualità e originalità di scrittura, ma anche per idee visive è Il decalogo di Kieslowski.

Al centro di queste storie di uomini comuni trasformati dal contesto e dal paese ci sono quegli incastri di scrittura particolari che abbiamo imparato a riconoscere nel cinema iraniano, intrecci che spiazzano e pongono le domande cui più è difficile rispondere. In un segmento c’è un uomo che conduce una vita ordinaria e poi scopriamo che fa un lavoro terribile, una specie di introduzione al tema. Nel secondo si cambia impostazione radicalmente e un fantastico attacco di stampo teatrale, in cui tramite il dialogo di 4-5 militari detenuti che dormono insieme capiamo il contesto e il dilemma di un uomo che dovrà eseguire una condanna a morte ma non vuole farlo, è disposto a tutto pur di non farlo, diventa un unico pianosequenza d’azione (cioè l’opposto dell’impostazione teatrale, lo specifico filmico) di grandissima tensione. Nel terzo, introdotto da un uomo che si lava in un fiume, una storia di amori e famiglie che nasconde un segreto è una maniera bellissima di mettere insieme uomini e natura come quasi mai si vede. Infine l’ultimo, il più sofisticato, riprende alcuni nodi ed è una storia di sguardi, una ragazza che viene da fuori guarda i suoi parenti iraniani e viceversa.

Tutto è finalizzato a sorprendere non tanto con svolte di scrittura, comunque clamorose, ma con risvolti umani sensibili e dolcissimi. E non è un caso che tutto si chiuda con una storia di sguardi alieni, di una ragazza che viene da fuori, perché Il male non esiste è proprio un film centrato sulla maniera in cui guardiamo e pensiamo i nostri simili, con la fallacità dell’ignoranza. Come per Panahi, come per Farhadi anche per Rasoulof quello che conta più sono le domande che lo spettatore viene accompagnato a farsi, ma che Il male non esiste (un filo pedissequo il titolo italiano) abbia poi una ricerca sulla forma audiovisiva di ogni racconto così centrata e coinvolgente è il salto stilistico che gli consente di superare anche il suo già astratto tema. L’amore nei monti dalla natura lussuriosa, l’aridità nel deserto, la furia nella prigione, tutto sembra arricchirsi dei luoghi e delle immagini.

La vera costante è però proprio Rasoulof. In questi mondi in cui ognuno nasconde qualcosa agli altri, alle volte con tenerezza, alle volte piangendo, altre volte con una tenacia impressionante, esiste una fiducia nell’umanità che è un toccasana. Esiste una forza in questa tolleranza tale da distruggere qualsiasi retorica sulla morte (che pure ogni tanto si affaccia), una forza espressa con la stessa quiete attraverso la quale questo film viene a scuotere lo spettatore mettendolo di fronte a situazioni, racconti e atmosfere che non lo lasciano più in pace.

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