Il lupo e il leone, la recensione
Cinema di animali con umani, solo fatto con bestie feroci. Nuove frontiere del "tornaacasalessismo" dal regista di Mia e il leone bianco
Il successo di Mia e il leone bianco, tre anni fa, ha cambiato la vita di Gilles de Maistre e sua moglie Prune de Maistre. Venivano da una vita nei documentari e nei tv movie di bassa lega e invece questo film per il cinema, fatto per una volta con l’ambizione di mettere sullo schermo qualcosa che non si vede (quasi) mai, è stato un successo mondiale. Il lupo e il leone non è un sequel di Mia e il leone bianco ma funziona esattamente come i sequel cioè prende gli elementi di un successo e ci investe, il raddoppia, e punta così ad essere di più. Solitamente finendo per essere meno.
A quel punto il film tira fuori il peggio di sé tra attori di quart’ordine (Mia e il leone bianco se non altro aveva Melanie Laurent), scenografie pigre, illuminazione piatta e una passione tutta sua e originale per le scene spezzate male dal montaggio. È qualcosa di comprensibile quando sono coinvolte le bestie, perché molte azioni non si possono realizzare allo stato dell’arte e quindi montargli intorno, suggerirle sul volto di chi le guarda più che mostrarle, è un’esigenza. Ma perché questo film lo fa anche quando non sono coinvolti gli animali? Ci sono parti del girato che sono state rubate? La segretaria di edizione ha dimenticato che andavano girate alcune inquadrature?
Nondimeno al suo pubblico d’elezione (non piccolo) non importerà nulla. L’importante è vedere gli animali nell’atto di essere teneri e volersi bene con gli umani. Cinema stimolo-risposta.