Il lupo e il leone, la recensione

Cinema di animali con umani, solo fatto con bestie feroci. Nuove frontiere del "tornaacasalessismo" dal regista di Mia e il leone bianco

Critico e giornalista cinematografico


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Il lupo e il leone, la recensione del film al cinema dal 20 gennaio

Il successo di Mia e il leone bianco, tre anni fa, ha cambiato la vita di Gilles de Maistre e sua moglie Prune de Maistre. Venivano da una vita nei documentari e nei tv movie di bassa lega e invece questo film per il cinema, fatto per una volta con l’ambizione di mettere sullo schermo qualcosa che non si vede (quasi) mai, è stato un successo mondiale. Il lupo e il leone non è un sequel di Mia e il leone bianco ma funziona esattamente come i sequel cioè prende gli elementi di un successo e ci investe, il raddoppia, e punta così ad essere di più. Solitamente finendo per essere meno.

Nel caso specifico l’elemento è avere sullo schermo un’attrice e delle bestie feroci che interagiscono senza nessun tipo di trucco o di effetto. Lo si ottiene facendo interagire attrice e animali da quando questi sono cuccioli e filmando una storia lungo più di un anno, mentre questi crescono così che quando sono adulti abbiano piena confidenza con lei e possano interagire (una follia che si era permesso anche Kusturica, per avere una sola scena in cui imbocca un orso adulto e lo abbraccia). Il lupo e il leone non lo fa allora solo con il leone ma con un leone e un lupo, entrambi trovati dalla protagonista e cresciuti con lei sulla sua isola fino a che non sono grandi e quindi “in pericolo”. Perché non si dà vero film sugli animali senza che questi siano messi in pericolo dai sentimenti peggiori degli uomini (avidità, cupidigia, invidia ecc. ecc.).

A quel punto il film tira fuori il peggio di sé tra attori di quart’ordine (Mia e il leone bianco se non altro aveva Melanie Laurent), scenografie pigre, illuminazione piatta e una passione tutta sua e originale per le scene spezzate male dal montaggio. È qualcosa di comprensibile quando sono coinvolte le bestie, perché molte azioni non si possono realizzare allo stato dell’arte e quindi montargli intorno, suggerirle sul volto di chi le guarda più che mostrarle, è un’esigenza. Ma perché questo film lo fa anche quando non sono coinvolti gli animali? Ci sono parti del girato che sono state rubate? La segretaria di edizione ha dimenticato che andavano girate alcune inquadrature?

E ancora: per caso gli attori hanno lavorato da soli? Girando i piani di ascolto un mese dopo la domanda che gli viene posta come nei film più poveri di Orson Welles? Perché il risultato sembra quello (mentre in Orson Welles invece non sembrava). E anche la storiella di ritorni a casa di due Lassie pericolosissimi che tutti però ritengono innocui nel nome dell’amore perde quel poco di efficacia di fronte alla mole inadeguata di momenti stranianti e soluzioni puerili che chiamano in causa i sentimenti a buon mercato invece di quelli più autentici.
Nondimeno al suo pubblico d’elezione (non piccolo) non importerà nulla. L’importante è vedere gli animali nell’atto di essere teneri e volersi bene con gli umani. Cinema stimolo-risposta.

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