Il libro delle soluzioni, la recensione

Il primo lungometraggio di Michel Gondry dopo otto anni ne ripropone motivi e personaggi tipici, con uno stile meno dirompente

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La nostra recensione di Il libro delle soluzioni, presentato nella sezione Quinzaine des cinéastes del Festival di Cannes 2023

Per un regista così amante dell'artigianalità, parlare del mondo del cinema contemporaneo, nell'epoca del predominio del digitale, non poteva che portare a una fuga. I film rifatti e "taroccati" di Be Kind Rewind, la casa sulle ruote inventata dai piccoli protagonisti di Microbo e Gasolina: per Michel Gondry nulla ha valore quanto le cose fatte con le proprie mani, ed era inevitabile che questo discorso si ritrovi anche in Il libro delle soluzioni. Mentre scorrono i titoli di testa, vediamo tutta l'apparecchiatura elettronica dietro un televisore, fino ad arrivare al suo schermo. Su questo, il protagonista, il giovane regista Marc (Pierre Niney), sta mostrando un primo montaggio del suo nuovo film ai produttori, che non lo apprezzano per niente. Così l'uomo decide di recarsi, insieme alla sua montatrice Charlotte (Blanche Gardin) e altri suoi collaboratori, nella casa in campagna della zia (Françoise Lebrun), per completare in autonomia il lavoro.

Come tanti altri personaggi di Gondry, Marc è una figura eccentrica, pieno di idee stravaganti, che sembrano destinati al fallimento, totalmente inetto nella vita amorosa. Nelle tante scene divertenti di The Book of Solutions, espone e prova a concretizzare senza farsi problemi le fantasie che gli passano per la testa, trovando le reazioni sorprese di chi lo sta ascoltando, molto più razionale. Ma è anche una figura egocentrica e a volte insopportabile, che compila un libro di soluzioni che non fanno altro che contraddirsi tra loro. Uno che proclama la necessità di essere libero dall'inferenza del produttore, di realizzare liberamente la propria arte, apparendo però senza una visione precisa, incapace di portare a termine il progetto. Le poche immagini del suo film che vediamo sembrano irricevibili e sconclusionate, proprio come gli rinfacciano i suoi colleghi.

Ci sarebbe dunque tutti gli elementi per compiere una parodia del giovane cineasta pieno di sé e troppo confidente nei suoi mezzi, ma è l'esatto opposto di quello che fa qui Gondry. Quello che trasmette la storia è invece un grande amore e ammirazione nei confronti di questo (apparente) idiota che continua sulla propria strada fino a quando non dimostrerà di avere ragione. "Un’idea è tale proprio perché non è stata mai concepita prima", rinfaccia a Charlotte quando lei gli fa notare come, se nessuno ha mai pensato una cosa, forse è perché non è sensata. Gondry ci invita a sorridere delle idee del protagonista ma anche in fondo a credere che si possano realizzare.

Queste comprendono rigirare alcune scene del suo film in campagna utilizzando la zia e i suoi attrezzi da giardino, scrivere il piano di lavorazione su una lavagna, inventare una sala di montaggio su un camion dove i suoi comandi servono a lavorare sul girato (suonare il clacson per tagliare una scena!). L' essere fuori dal mondo del personaggio (in cui non è difficile vederci un alter ego di Gondry stesso) diventa così espressione di una presa di posizione molto forte nei confronti dell'industria cinematografica, una difesa di una modalità di creare e lavorare che oggi sembra desueta, ma in cui il suo autore crede ancora.

Così, il primo lungometraggio di Gondry a otto anni dal precedente è anche un'opera che riflette in maniera decisa su cinema stesso del suo autore. Gli intermezzi animati (ad opera dello stesso Marc) raccontano nuovamente di qualcuno alle prese con un’impresa impossibile. Lo stesso film del protagonista ha elementi di assurdità gondriani che in The Book of Solutions sono completamenti assenti, se non con qualche breve accenno nella parte finale. Quasi come a voler racchiudere nel lavoro di Marc tutto un immaginario per mancare il distacco con quello che vediamo nel film vero e proprio. Un'opera dove, seppur ritrovando temi e personaggi ricorrenti, lo stesso stile del regista si fa meno dirompente, lontano dall'irrisolto guazzabuglio di invenzioni visive di Mood Indigo, e assumendo verso la conclusione addirittura i tratti di una solare commedia romantica, in cui (quasi) tutto questa volta sembra reale.

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