La recensione di Il Kaiser, il film su Franz Beckenbauer disponibile dal 16 dicembre su Sky
Il primo colpo d’occhio di
Il Kaiser dice tutto: c’è
Franz Beckenbauer, nella notte in cui la Germania diventa campione del mondo durante Italia ‘90 che passeggia per il campo dell’Olimpico, con uno sfondo falso come non lo si vedeva ormai da anni, abituati come siamo a buoni greenscreen. È il biglietto da visita di un film giocato attraverso varie epoche che proprio nella gestione del period, cioè negli sfondi, nelle scenografie, nei costumi, nel trucco e nel parrucco ha il suo comparto di gran lunga peggiore. E quella per il comparto peggiore è una bella gara.
Il Kaiser è diretto da Tim Trageser, regista televisivo che si intuisce non appartenere propriamente alla nuova generazione di registi televisivi, ma più alla vecchia, e fa ampio abuso di tutto un armamentario di piccole grandi povertà stilistiche, di immaginario e di scrittura che tutte insieme siamo abituati a vederle solo nelle più modeste produzioni italiane. Invece questo è un film tedesco, su una bandiera dello sport tedesco, in cui sembra di intravedere lo scotch che tiene insieme le parrucche o il lento scollarsi dei baffi finti, per non parlare della pessima maniera in cui è gestito il trucco dell’invecchiamento. Terribile. Effetti digitali dozzinali sono solo l’ultimo passaggio insieme alle immancabili musiche assassine.
La storia è proprio quella della vita di
Franz Beckenbauer, un’agiografia così smaccata da riuscire a trovare una giustificazione e stare dalla parte del protagonista anche nelle situazioni in cui palesemente ha torto, anche quando viene raccontato il suo guaio con l’evasione fiscale che lo portò a giocare in America. Lui, eroe tedesco scapestrato (un tedesco sempre in ritardo), il cui statuto di campione è certificato continuamente non dalle azioni ma dagli altri personaggi che parlano di lui. A differenza del nostro
Il divin codino,
Il Kaiser è una pessima versione della vita di
Beckenbauer a uso e consumo di un pubblico che probabilmente non è molto appassionato di calcio (ma allora perché lo dovrebbero guardare?), nella quale invece di recitare sentimenti, emozioni o contraddizioni queste vengono dette. Così: a parole.