Il Grande Diabolik 2/2015: L'uomo che non conosceva Diabolik, la recensione
Non c'è estate che si rispetti senza Il Grande Diabolik, da sempre sinonimo di storie speciali, come questa: L'uomo che non conosceva Diabolik
Classe 1971, ha iniziato a guardare i fumetti prima di leggerli. Ora è un lettore onnivoro anche se predilige fumetto italiano e manga. Scrive in terza persona non per arroganza ma sembrare serio.
Non c'è estate che si rispetti senza uno speciale de Il Grande Diabolik, collana che esordì quasi vent'anni fa con Un tesoro rosso sangue, il luglio del 1997 e passando nel 2003, visto il successo, da uno a due uscite annuali, venendo ad aggiungengersi quella primaverile (poi divenute tre nel 2010 con la riedizione a colori di vecchi numeri). Caratterizzato dal suo debutto con storie dal significato particolare, tese a chiarire o illuminare episodi oscuri del passato del protagonista, L'uomo che non conosceva Diabolik, è qualcosa di altro ancora, perché vuole illustrare a chi non lo conosce il ladro più famoso del fumetto italiano senza annoiare chi ne sa anche troppo, come scrive nella postfazione del volume Mario Gomboli, spiegando il perché del soggetto, scritto come la sceneggiatura a quattro mani con Tito Faraci.
La storia, confezionata con la solita classe da due maestri del genere come Gomboli e Faraci, è realizzata graficamente da una garanzia di qualità “diabolika”, quale Emanuele Barison. Contiene il meglio degli espedienti e dei ritrovati tecnologici della serie, ma è mediata come sempre da una trama solida e ben articolata e ancora una volta originale, quasi un'ovvietà nella pubblicazione Astorina, che richiede tuttavia, come si può immaginare, una cura e una ricerca laboriosa e appassionata. Il suo finale, fatto d'azione e di sicuro divertimento, come da premessa non deluderà il fan più attempato così come saprà conquistarsi un nuovo e giovane pubblico.