Il Gladiatore 2, la recensione: un film che non regge il confronto con l'originale
Ridley Scott tenta di riportare in vita l’epica de Il gladiatore, ma il sequel manca di carisma, pathos e la potenza che ha reso l’originale un capolavoro
Probabilmente ancora sotto shock per l'identità autolesionista di Joker: Folie à Deux, Hollywood sta spingendo a manetta Il gladiatore II di Ridley Scott. È comprensibile perché vorrebbero chiudere l'anno con un blockbuster che non si distingua per auto-sabotaggio. Il problema è che Phillips è stato chirurgico nell'harakiri commerciale e ha lavorato benissimo alla sua autodistruzione. Scott, invece, prova a fare un kolossal adrenalinico ma ottiene il risultato di farti venire voglia di rivedere Il gladiatore (2000).
Questo seguito vede un figlio di Massimo Decimo Meridio (Russell Crowe) con un decimo del suo fascino e carisma arrivare nella Roma del 200 d.C. dalla Numidia (attuale Algeria). Si chiama Lucio Vero (Paul Mescal), diventerà schiavo, poi gladiatore, poi figlio rancoroso di Lucilla Augusta (Connie Nielsen, unica a tornare dall'originale con Derek Jacobi). A Roma si progettano golpe, i cittadini sono disillusi e i due Imperatori Geta e Caracalla paiono due macchiette isteriche (che nostalgia quel Commodo di Joaquin Phoenix). A un certo punto il film se lo porta via integralmente il Macrino di Denzel Washington, il quale però purtroppo va così in overacting da esagerare in più di una sequenza. È un mercante di schiavi con grandi ambizioni politiche interpretato da un grande attore che, da veterano, sente chiaramente di non avere nessuno attorno a lui che possa contrastarlo in fatto di presenza scenica. Pessimo e scelto male Paul Mescal (le scene in cui dovrebbe fomentare i soldati fanno piangere rispetto a quelle con Crowe). Sacrificato e costretto a fare il morigerato Pedro Pascal. Scott dirige senza particolare pathos.