Il giro del mondo in 80 giorni: la recensione

Il giro del mondo in 80 giorni si regge sui tre protagonisti, ma fallisce nell'intrattenimento e nella bellezza visiva.

Condividi

Abbiamo atteso a lungo l'arrivo di Il giro del mondo in 80 giorni in Italia e finalmente la serie inglese del 2021 sarà disponibile su Rai2 dal 27 dicembre. Una lunga attesa che però non è stata ripagata dalla qualità del prodotto.

Il giro del mondo in 80 giorni, per essere una serie d'avventura a spasso per il globo, è incredibilmente noiosa, visivamente piatta e non riesce a scrollarsi di dosso il razzismo dell'opera originale.

Trama e personaggi

La storia, tratta dal romanzo di Jules Verne, la conosciamo tutti. Siamo in Inghilterra, nella seconda metà dell'800 e un uomo, Phileas Fogg decide di accettare una scommessa: girerà il mondo intero in 80 giorni.

A interpretare l'avventuriero troviamo il sempre amato David Tennant; impeccabile come sempre, ma non sufficientemente brillante per tenere in piedi la baracca. Il Fogg della serie è diverso da quello del romanzo, più moderno come si addice a un prodotto del 2021: da uomo insicuro e con un trauma passato compirà un bel percorso di evoluzione durante gli episodi. Adattati alla sensibilità moderna sono anche gli altri due protagonisti della storia: Miss Abigail Fix, giornalista che prende il posto del poliziotto del romanzo e l'immancabile Passepartout interpretato da Ibrahim Koma. Se la prima risulta un'aggiunta piacevole (per non dire necessaria se si voleva evitare un all men cast), il secondo non brilla per simpatia. Simile alla controparte libresca, Passepartout è un rivoluzionario francese-seduttore-bandito-giramondo, troppo caricato per essere gradevole.

Il trio nel complesso funziona e la loro relazione si sviluppa in maniera credibile, ma è tutto ciò che ruota intorno che fa cilecca. A partire dai personaggi secondari e dalle sottotrame che li coinvolgono. Adattandosi al formato seriale, ogni episodio vede i protagonisti esplorare una diversa parte del mondo e qui fare nuove conoscenze e imbattersi in inevitabili complicazioni. Ogni ostacolo, ogni incontro però è assolutamente dimenticabile. I personaggi secondari sono macchiette, funzionali sia per farci scoprire i protagonisti sia per far succedere qualcosa negli altrimenti vuoti 50 minuti di episodio. Ma di loro non ci importa nulla e le soluzioni sono di una banalità sconvolgente: il bambino ferito sul treno in Italia con la mamma morta e il papà severo? Il soldato indiano che viene salvato dal boia in nome dell'amore? Anche l'antagonista, a cui si tenta di dare un minimo di spessore, in realtà è minutaggio sprecato perché continuiamo a non conoscerlo e a non essere interessati a lui.

La piattezza visiva

Nel 2023 chiunque ambisca a mostrare il mondo deve rendersi conto che non è più possibile girare nel campo dietro casa del regista e pretendere che restiamo sconvolti dalla "bellezza dell'India". Il giro del mondo in 80 giorni non si è accorto che il 1980 è passato da un pezzo. Nonostante la serie sia stata realizzata in Romania e Sud Africa, ricorrendo a grandi teatri di posa, la sensazione è che sia tutto finto.

Se i costumi sono impeccabili altrettanto non si può dire della scenografia. Parigi e Londra sono esattamente la stessa città, cambiano solo i colori delle bandiere. L'India è composta da un villaggio, Hong Kong è una strada affollata e il paesaggio dalla nave di New York è una fintissima CGI. Non vediamo null'altro. Non illudetevi di immergervi in paesaggi grandiosi e sconfinati, di assaporare le diverse culture, di desiderare di prendere un aereo e partire. Sembra assurdo che una serie di avventura a spasso per il globo riesca ad essere così visivamente noiosa.

Razzismo e colonialismo

Non ci deve sorprendere che il romanzo di Jules Verne sia incredibilmente razzista e colonialista: era il 1800 dopotutto! Altrettanto, è ovvio che un prodotto seriale del 2023 si sforzerà di eliminare qualsivoglia elemento xenofobo. Il giro del mondo in 80 giorni finisce però per ingarbugliarsi su se stesso e inciampare in banalissime trappole; poco visibili, certo, ma comunque fastidiose.

Innanzitutto, se Londra, Parigi e New York risultano essere effettivamente delle città e non coincidono con lo stato in cui si trovano, quindi l'Inghilterra, la Francia e gli Stati Uniti, lo stesso non accade per l'India che è semplicemente: India. Non ci sono città, la settima nazione più grande al mondo (oggigiorno) è considerata come un unico identico blocco. Phileas Fogg potrebbe essere a nord o a sud che non cambierebbe assolutamente nulla, tanto in India sono tutti uguali.

Restando in India, particolarmente fastidioso risulta poi il salvataggio del soldato accusato di diserzione (aveva abbandonato l'esercito per sposarsi) e condannato a morte. La serie cade infatti nel trappolone del cosiddetto white savior. Chi salva il povero indiano dall'esecuzione? L'inglese bianco, ovviamente. E di certo non lo fa usando brillanti strategie, ma ricorrendo a un discorsetto stucchevole sull'importanza dell'amore. Il soldato indiano non era in grado di pronunciare le stesse identiche parole e salvarsi da solo? Doveva aspettare il buon colonialista che spiegasse ciò che lui stesso sapeva già?

Sicuramente le parti più problematiche del romanzo sono state eliminate, ma una certa spocchia inglese comunque pervade l'intero show.

Continua a leggere su BadTaste