Il gioiellino - la recensione

La storia - appena mascherata - della Parmalat e di Callisto Tanzi, dal miracolo italiano allo sconvolgente fallimento. Ottime intenzioni, risultati un po' alterni nel nuovo film di Molaioli...

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Recensione a cura di ColinMckenzie

Titolo Il gioiellino
RegiaAndrea Molaioli
Cast
Toni Servillo, Remo Girone, Sarah Felberbaum, Fausto Maria Sciarappa, Lino Guanciale
Uscita04-03-2011 

Non c'e' dubbio che Il gioiellino fosse uno dei film italiani che attendevo con maggiore interesse. Non ero stato tra gli entusiasti de La ragazza sul lago, il precedente lavoro di Molaioli, che trovavo un prodotto interessante ma sopravvalutato. Gli estratti che avevo visto a Sorrento invece mi avevano fatto molto ben sperare su questo film, chiaramente debitore di Sorrentino, ma comunque molto forte e appassionante. Certo, mi rimaneva l'incognita Servillo (sarebbe stato eccessivamente servilliano come gli capita ultimamente?) e il dubbio sul perché un titolo del genere non sia arrivato a qualche festival importante.

Si trattava dell'occasione di affrontare uno dei maggiori scandali italiani, quello di Parmalat e di Callisto Tanzi, che anche se vengono mascherati da pseudonimi, sono inconfondibili. Cosi, possiamo vedere un'analisi non solo dei malanni del capitalismo italiano, ma anche di alcune figure emblematiche della nostra società. Per esempio, si ripete spesso (troppo, in effetti) che i proprietari dell'azienda puntano sui valori, con l'idea di ironizzare sulla facciata pulita rispetto agli affari truffaldini. Ma si ha l'impressione che i veri squali non siano quelli falliti, ma quelli che si trovano nelle banche e che continuano a lavorare indisturbati, come dimostra la recente crisi economica. E anche la frecciata finale ai giornalisti, presunti cani da guardia del potere, è notevole, grazie a una battuta fulminante ("Non dovevamo sospendere i pacchi dono").

Va dato atto ai realizzatori di aver dato vita a un prodotto che non annoia mai, nonostante l'argomento non sia certo semplice e commerciale. Merito anche di una colonna sonora perfetta e appassionante, altro elemento che ha in comune con Sorrentino. E soprattutto nell'ultima parte c'è una forte tensione che affascina e inquieta allo stesso tempo.

C'è purtroppo il solito problema di registi un po' troppo innamorati di Toni Servillo e che quindi si dilungano su di lui qualche secondo di troppo, lasciandogli sempre qualche scena madre dove scatenarsi, tra parolacce, sguardi cattivi, sfuriate, frasi fulminanti e maleducazione assortita. Insomma, l'equivalente italiano dei Pacino blast. Meglio, decisamente meglio (anche se ovviamente verrà trascurata) la prova di Remo Girone, che gioca più di sottrazione e che dà vita a un personaggio sfumato e complesso.

Così così invece il personaggio della nipote del capo, che all'inizio sembra molto debole, non tanto per la prova (discreta) della Felberbaum, quanto perché alcuni sviluppi, come il rapporto con Servillo, sembrano allo stesso tempo scontati e fin troppo metaforici. Poi, soprattutto nel finale ha la possibilità di migliorare molto. Più che altro, ogni tanto si ha l'impressione che il montaggio sia troppo frenetico, senza che ci siano vere ragioni artistiche dietro, se non il desiderio di sembrare più 'moderni'.

Va dato atto a Molaioli di aver realizzato un film coraggioso e fuori moda, benché decisamente imperfetto. Per questo, sarebbe auspicabile un buon riscontro di pubblico. Ma in quest'Italietta commediaciara, non mi sentirei di scommetterci...

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