Il giardino segreto, la recensione

Scritto dallo sceneggiatore di Wonder ed Enola Holmes Jack Thorne, un autore piuttosto rodato sul film di formazione, e diretto da Marc Munden, Il giardino segreto riadatta il classico per ragazzi del 1911 di Frances Hodgson Burnett con tanto desiderio estetizzante ma senza una forte e decisa spinta narrativa.

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Scritto dallo sceneggiatore di Wonder ed Enola Holmes Jack Thorne, un autore piuttosto rodato sul film di formazione, e diretto da Marc Munden, Il giardino segreto riadatta il classico per ragazzi del 1911 di Frances Hodgson Burnett con tanto desiderio estetizzante ma senza una forte e decisa spinta narrativa. Impedendoci fin da subito di empatizzare con i personaggi, presentati frettolosamente e con poca premura, il film manca in prima battuta l’occasione di mettere il nostro sguardo ad altezza bambino, recuperando con grande fatica, solo verso la fine, il necessario allineamento tra il sentimento dei piccoli personaggi e quello di chi guarda.

La protagonista è la piccola Mary (Dixie Egerickx), una bambina figlia di due aristocratici inglesi residenti in India. Dopo la morte dei genitori Mary viene affidata allo zio Archibald (Colin Firth), il quale vive presso un sontuoso palazzo nella campagna inglese. La casa è però è avvolta da un’atmosfera triste e mortifera: lo zio Archibald è ancora alle prese con il lutto della moglie, incapace di prendersi cura del figlio Colin, lasciato a se stesso nella sua camera da così tanto tempo che non sa più camminare. Da quando Mary scopre il magico giardino segreto nei pressi del palazzo comincia a ripercorrere all’indietro le memorie della famiglia, riuscendo a fare i conti con il dolore che da sempre aveva rimosso (la relazione con sua madre) e aiutando lei stessa gli altri membri della famiglia ad accettare il lutto.

È infatti di pura magia e ingenuo stupore che vive il racconto de Il giardino segreto, di un’atmosfera infantile e un po’ dark senza la quale si viene a perdere il senso stesso della storia, la sua significatività, la sua forza metaforica. Qui però si affida totalmente al parallelo tra l’immaginazione di Mary (che rivede le persone del suo passato in giro per la casa e il giardino) e il suo percorso di accettazione, dando per scontato il vero punto di partenza emotivo - che invece non è mai a fuoco.

L’allora necessario apparato estetico (determinante in una storia basata sull’immaginazione, per di più se è quella di un bambino) prova a farsi largo tra una scena e l’altra ma non riesce mai ad essere davvero incisivo. Assieme alla fotografia ad ogni modo equilibrata, studiata sempre sul mood dei personaggi ma allo stesso tempo mai esagerata o posticcia, Il giardino segreto vive, o meglio vorrebbe vivere, di allucinazioni visive: peccato che siano per la maggior parte banali, poco immaginative, o semplicemente poco sfruttate. Del giardino segreto infatti non percepiamo visivamente chissà quale particolarità e differenza rispetto al mondo ordinario. E qua cade il patto con lo spettatore.

Nell’ultima mezzora, quando i fili narrativi vengono al nodo drammatico, il film si fa invece più appassionante, riesce a raggiungere l’empatia; ma, purtroppo, è ormai troppo tardi, dopo un’intera ora in cui ci si è chiesti quale fosse il vero obiettivo dei suoi autori.

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