Il filo invisibile, la recensione

Commedia che non riesce a fare commedia, Il filo invisibile sembra disinteressarsi di ogni possibile spunto e puntare alla medietà

Critico e giornalista cinematografico


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La recensione di Il filo invisibile, film in sala il 21, 22 e 23 febbraio e poi dal 4 marzo su Netflix

In Il filo invisibile Francesco Scianna interpreta un ristoratore, come lo ha interpretato da poco anche in A casa tutti bene - La serie, solo che questa volta non è un uomo con due mogli ma un omosessuale con un amante oltre al proprio marito. Ancora una volta ci sono dei figli presi nel mezzo dei problemi coniugali. Il paragone è curioso non solo perché le due produzioni escono a relativamente poco tempo di distanza ma perché, al pari di quel che avviene con l’altra metà della coppia (Filippo Timi), c’è una disparità fortissima di impatto nella recitazione. Tutto Il filo invisibile è un film in cui le interpretazioni sono poco curate, uno capace di levare forza e interesse anche a quella calamita per lo sguardo che è Filippo Timi, ma il caso di Scianna è il più eclatante, proprio perché preso in una parte paragonabile a quella che ha nella serie di Muccino.

In più questa volta il ristoratore con famiglia e suo marito sono presi da questioni di cuore e di affermazione dei propri diritti. Hanno un figlio insieme ma non risultano entrambi padri per una questione di giurisprudenza italiana, cosa che creerà ancora più problemi quando la coppia andrà in crisi, portandosi dietro parenti amici, figli, fidanzate dei figli e genitori fintamente progressisti (ma in realtà conservatori) della suddetta fidanzata. Il più classico coacervo di piccolo bozzettismo da realtà borghese italiana, presa negli intrecci una volta decisamente più raffinati da commedia sofisticata. Anche se di sofisticato c’è pochissimo (e quel poco, come già detto, è davvero mal servito).

Tutto dovrebbe essere letto tramite la lente del documentario girato dal figlio, cosa della quale il film si ricorda a fasi alterne, senza renderla mai davvero una cornice o una reale lettura dei fatti (in pratica a nessuno interessa il fatto che potremmo vedere quel che accade tramite gli occhi e il montaggio di uno dei personaggi e si preferisce la narrazione classica), soprattutto tutto dovrebbe essere in forma di commedia, per quanto leggera, altra componente di cui il film si ricorda a fasi alterne e con risultati disastrosi.

La scrittura non ha né la forza sferzante dei dialoghi acuti (osservazioni, interazioni o anche solo singole battute), né tantomeno la capacità di creare situazioni paradossali in sé, in cui il solo agitare i personaggi crei la dimensione di commedia. Ad uscirne penalizzati, ancora una volta, sono quindi gli attori a cui viene chiesto di creare la commedia là dove la sceneggiatura non lo riesce a fare (spoiler: non ci riescono) e il risultato finale macera nella medietà.

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