Il fantasma dell’opera

“Il musical più visto di tutti i tempi finalmente al cinema”, recita la frase di lancio di questa pellicola. Finalmente? Finalmente???

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Due premesse a questa recensione sono fondamentali. In primis, non sono mai stato un fan di Andrew Lloyd Webber, né di Joel Schumacher (ma qui credo di essere in buona compagnia). Per me l’idea di musical è Cantando sotto la pioggia, non Evita o Jesus Christ Superstar. Insomma, non posso dire di rappresentare il pubblico che va a vedere gli spettacoli di questo compositore.
Ma il grosso problema va trovato nella versione italiana. Sono sicuro che anche nella sua forma originale non avrei apprezzato questo film, ma così è veramente osceno. Si ha l’impressione di vedere un musical della Disney e non una pellicola inquietante e minacciosa. Non posso infatti credere che le voci originali siano così tranquille e dolci, in particolare quella di Gerard Butler, il fantasma in questione. Peraltro, discutibile anche la scelta della doppiatrice di Minnie Driver (voce stranissima, sentirete) e da sottolineare le difficoltà per rispettare il movimento delle labbra degli interpreti, che a volte produce risultati non troppo incoraggianti (d’accordo, non siamo ai misfatti di Eros, ma non è proprio il massimo). Per la cronaca, va detto che la traduzione è stata voluta dallo stesso Webber, quindi non è il caso di prendersela con il distributore italiano...

L’inizio è promettente, in particolare per le magiche scenografie di Anthony Pratt. Ma subito si capisce quello che non va. Tutto procede troppo semplicemente e senza rischi. Christine ottiene la parte principale in un amen, senza neanche dover discutere con la diva capricciosa di turno (E io già mi pregustavo uno scontro Eva contro Eva), mentre la star interpretata da Minnie Driver (non ai suoi magici livelli, molto meglio recentemente in Will & Grace) riesce a sopravvivere senza grossi danni, nonostante l’odio che suscita nel Fantasmino.
Il fatto è che i personaggi non convincono. Non è tanto colpa degli attori (anche se francamente mi è difficile capire l’entusiasmo verso Emmy Rossum e Gerard Butler), quanto di quello che devono fare in scena. E’ impossibile simpatizzare per il fantasma, anche conoscendo il suo triste passato. E perché la protagonista dovrebbe provare qualsivoglia sentimento per i suoi due spasimanti? La descrizione dell’amore è assolutamente superficiale: con una battuta, si potrebbe dire che i nostri eroi cantano (quasi) sempre ma non comunicano nulla. Purtroppo poi non aiuta l’idea di esprimere anche i dialoghi più banali in forma cantata e allungandoli in maniera spropositata, con frequenti scivolate nel ridicolo involontario.

Peccato poi aver sprecato tante possibili sottotrame potenzialmente interessanti. Non si poteva far niente di meglio con il personaggio di Minnie Driver, magari messa in maggiore contrapposizione con la giovane protagonista? E perché non soffermarsi sui nuovi proprietari del teatro, magari anche per fare un’analisi della società francese dell’epoca?
Sono invece totalmente inutili i passaggi tra il 1870 (anno in cui si decidono i destini dei protagonisti) e il 1919 (epoca che fa semplicemente da cornice superflua agli eventi, con i personaggi invecchiati).
Peraltro, è sorprendente dire che la regia di Joel Schumacher non è affatto male, senza eccessi particolari (a parte un paio di scene). Ma tutto questo non basta per risollevare l’ultima mezz’ora, che oscilla tra la stupidità estrema (perché il fantasma non viene arrestato quando è in trappola?) ad un finale scontatissimo.
Francamente, non riesco a capire come questa pellicola possa convincere un largo pubblico. E di certo non vincerà l’Oscar, se non per le scenografie...

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