Il Dittatore, la recensione [2]
Molto divertente, ma meno capace di dire qualcosa sulla società rispetto ai film precedenti, il primo esperimento di finzione di Sacha Baron Cohen è un film normalissimo...
Vi abbiamo già proposto la prima recensione di Il Dittatore ad opera di Nicolò Carboni; ora ecco quella di Gabriele Niola...
La quarta incarnazione cinematografica di Sacha Baron Cohen è interessante tanto quanto le tre precedenti, ma non riesce alla stessa maniera a scoperchiare ed esporre il peggio del popolo americano attraverso il confronto con lo straniero e le opinioni differenti.
C'è molto da ridere in Il Dittatore e di un umorismo come sempre originale e unico, fondato sul ribaltamento del punto di vista in ogni situazione. Tuttavia rispetto a Bruno, Borat (immenso) e Ali G, The Dictator non riesce ad essere l'alieno politicamente scorretto immerso nella società politicamente corretta che ne fa saltare il perbenismo.
Alla fine Larry Charles dirige tutto seguendo il ritmo delle commedie sentimentali, in cui la trama non è usata come strumento d'azione, ma come materasso su cui adagiarsi. Al posto dei viaggi dei personaggi precedenti, qui c'è la caduta e il tentativo di nuova ascesa di un dittatore ispirato a Gheddafi e compagnia. Nel farlo si innamorerà di una ragazza progressista e femminista.
Sembra, in sostanza che Sacha Baron Cohen e Larry Charles abbiano deposto le armi, rassegnati a fare un film molto divertente, ma che è unicamente un collage di gag e non più un oggetto in grado di dire qualcosa sul mondo che gli spettatori abitano e sulle contraddizioni di cui sono testimoni ogni giorno.
Soprattutto la lunghissima gestazione (e l'altrettanto lunga campagna promozionale) sono state più lente degli eventi di cronaca e in più punti, quando il film gioca con veri capi di stato e veri dittatori, suona superato e già vecchio.