Il discorso perfetto, la recensione

Il discorso perfetto di Laurent Tirard è una commedia sorprendente, che con una storia semplice e una messa in scena strepitosa strappa molte risate ma comunica anche una forte consapevolezza di ciò che vuole raccontare.

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La recensione de Il discorso perfetto, il film in uscita il 10 febbraio al cinema

Vorrebbe disperatamente poter manipolare il tempo Adrien (Benjamin Lavernhe), da quando la sua fidanzata Sonia (Sara Giraudeau), con uno sguardo comicamente esausto, gli ha annunciato di voler mettere in pausa la loro relazione. Da quel momento, che avviene subito nel fulminante incipit di Il discorso perfetto, il regista e sceneggiatore Laurent Tirard accompagna il disperato Adrien con uno spirito di divertita - e molto divertente - empatia nel tentativo maniacale di questo di ricapitolare una vita di insicurezze ed errori imbarazzanti, raccontata quasi interamente per aneddoti e immaginata per “se”.

La preoccupazione di Adrien, tutta rivolta a un futuro che non può arrivare con il comando fast forward ma che si è costretti a raggiungere a velocità normale, diventa però duplice quando, durante una cena a casa dei suoi genitori (l’unico presente certo del film) il fidanzato della sorella gli chiede di fare un discorso al matrimonio che ci sarà di lì a poco. Cosa dirà? Come lo vedranno gli altri? Riuscirà a non rovinare tutto? Sonia sarà lì ad ascoltarlo?

Ecco, proprio quel voler controllare ciò che non si può (ciò che gli altri pensano, fanno e, appunto, il tempo in generale) diventa in Il discorso perfetto non solo il nucleo tematico ma l’idea plastica di messa in scena. Questa è infatti costruita su un’impalcatura strutturale assurda e meravigliosamente improbabile, fatta di spazi paradossali: pareti che si infrangono con il tocco di una mano, stanze che si polverizzano, luoghi che lontani che si avvicinano con un uso sapiente di colori e luci. Laurent Tirard fa in questo senso un lavoro sopraffino, e il modo solido e coinvolgente in cui ci guida in questa geografia esilarante riesce a calarci completamente nel suo caos comico.

In tutto questo caos quello che fa Adrien, sempre rivolgendosi allo spettatore in un continuo blaterare da lettino psichiatrico di Alleniana memoria (Io e Annie è la prima cosa a cui si pensa) è rileggere pezzi del suo passato - a volte inquinandolo, sdoppiandocisi dentro - e prefigurarsi gli esiti del suo futuro (il famoso discorso al matrimonio e la conciliazione con Sonia), in un carillon di scenette che sono per lui l’unico modo di sentirsi ancora protagonista della sua vita.

Benjamin Lavernhe si presta fantasticamente a questo gioco di irrealtà, e qui la sua capacità comica sta nell’equilibrare perfettamente un fiume impetuoso di parole (senza rabbia, ma con un dispiacere tragicomico) con il minimalismo della sua espressione: quasi fosse un personaggio a fumetti in carne ed ossa, disegnabile uguale a se stesso all’infinito.

Il tono è divertito e leggero, la premessa semplicissima e l’esito prevedibile, ma questa è la partita che vuole giocare Laurent Tirard, e la vince a mani basse. Perché in tutto questo tripudio scenico il messaggio di Il discorso perfetto non viene oscurato e anzi arriva con una profondità disarmante, declinandosi in una verità che suona più o meno così: l’imprevisto fa parte della vita, bisogna accettarlo con serenità.

Siete d’accordo con la nostra recensione di Il discorso perfetto? Scrivetelo nei commenti!

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