Il discorso del re - la recensione

Il duca di York, dopo la morte del padre regnante, deve lottare contro la sua balbuzie e un fratello che mette in pericolo il trono. Tre grandi attori al lavoro, ma una storia che genera poche emozioni e che esce raramente dall'aurea mediocrità...

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Recensione a cura di ColinMckenzie

Titolo Il discorso del re
RegiaTom Hooper
Cast
Colin Firth, Geoffrey Rush, Helena Bonham Carter, Michael Gambon, Guy Pearce, Timothy Spall, Derek Jacobi
Uscita28-01-2011La scheda del film

Magari è un'esagerazione, ma direi che Harvey Weinstein è tornato a fregare tutti. Negli anni novanta, è riuscito a spacciarci tanti prodotti medi per capolavori, ottenendo incassi da capogiro per budget ridotti e vincendo tanti Oscar. Ora, dopo qualche anno di appannamento, sembra che siamo tornati sulla buona (si fa per dire) strada. Dopo l'Oscar a Kate Winslet per The Reader, quest'anno è riuscito a vendere un gradevole e mediocre prodotto come Il discorso del re, facendolo sembrare un capolavoro.

Qui siamo dalle parti di Shakespeare in Love (l'apogeo del genio affaristico e artistico di Weinstein), anche se con una quantità di brio e fantasia inferiore, ma ugualmente ruffianello. L'idea di base, come spesso capita, risulta molto intrigante, con delle persone poco comuni che devono mostrare tutto quello che valgono e che ci riescono dopo numerose prove complicate.

Purtroppo però, in breve tempo si preferisce giocare su imbarazzi scontati, non solo sulla balbuzie, ma anche sulle differenze sociali e caratteriali tra i due protagonisti maschili. La sensazione è che si spii dal buco della serratura, con l'idea di vedere i potenti nel privato e in questo offrire una forma accettabile di gossip (vi mostriamo i reali mentre piangono, litigano e non riescono a leggere un semplice discorso! Venghino, signori, venghino). Tutto ben recitato, diretto e fotografato, ma in sostanza senza riuscire a esprimere le vere emozioni necessarie per arrivare a un livello superiore rispetto a un normale prodotto Hallmark.

Così, si punta su alcune scene a effetto, alcune delle quali molto efficaci sul breve periodo, soprattutto grazie alla vivacità istrionica (ma ben contenuta) di Geoffrey Rush. In altri casi, tuttavia, la voglia di sorprendere dà vita a scene false, come capita con la registrazione delle parole del duca. Ma è veramente difficile appassionarsi a questi personaggi che, per lo più, non riescono a esprimere la forza che desiderano. E quando non si sa che fare, è fin troppo facile giocare con le situazioni anedottiche, come la famiglia del dottore che incontra i regnanti con risultati goffi e imbarazzati.

Ovvio che in tutto questo non manca una gara di bravura interpretativa che sarebbe delittuoso non constatare. Colin Firth riesce a esprimere bene i travagli interiori di questo re che non vuole esserlo, per timore di non dimostrarsi all'altezza. La varietà della sua interpretazione, in cui si passa facilmente da bruschi scoppi d'ira a momenti di totale sconforto, è decisamente encomiabile. Scordandoci per un attimo che esista lo Javier Bardem di Biutiful, possiamo considerarlo un buon (probabilissimo) premio Oscar. Ad affiancarlo (magari anche alla cerimonia degli Academy Awards), Geoffrey Rush, che come spesso capita in questi casi ruba la scena al protagonista. Peccato che sia nel suo caso, che in quello di Helena Bonham Carter (altra possibile candidata) non si riesca a costruire figure di maggiore spessore, che siano in grado di far trasparire aspetti importanti della loro personalità.

Quello che stupisce in positivo è la regia molto misurata di Tom Hooper, che fa si che quello che sembra un film classico, abbia uno sguardo diverso dal solito. C'e' il desiderio di non lasciarsi andare a inquadrature scontate, talvolta preferendo la macchina a mano e, pur senza fare miracoli, siamo decisamente sopra la media di registi del genere. Ma le occasioni sprecate risultano un po' troppe. Se già due dei tre protagonisti non vengono sviscerati benissimo, è inutile aspettarsi che questo venga fatto per altri comprimari. Un grosso rammarico è il fatto di non approfondire il rapporto tra padre e figlio, che nell'unica scena a loro disposizione funzionano in maniera meravigliosamente sottile. Cosi come non viene analizzato bene il dramma e la difficoltà del legittimo erede al trono, diviso tra i suoi doveri istituzionali e una donna divorziata, che alla fine risulta sostanzialmente un ragazzino viziato (mentre delle sue simpatie naziste abbiamo soltanto un piccolo accenno).

In altri tempi, il buon Harvey sarebbe riuscito a farci bere la storia del grande-piccolo film da sostenere al botteghino e ai premi, per merito di uno sguardo artistico superiore a quello di analoghi prodotti americani. Ma forse il vento è cambiato e si potrà scegliere subito (senza magari farlo a distanza di anni, rimpiangendo la sbornia presa per pellicole sopravvalutatissime) prodotti ben più coraggiosi e avvincenti...

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