Il diritto di opporsi, la recensione

Quando la storia viene travolta dalla vanità degli attori e della regia, un film come Il Diritto di Opporsi finisce nell'autocompiacimento

Critico e giornalista cinematografico


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IL DIRITTO DI OPPORSI, DI DESTIN CRETTON: LA RECENSIONE

Il cinema d’impegno civile americano non è come il nostro. Attinge a storie vere (come spesso facciamo anche noi) e mostra la lotta contro le istituzioni (come facciamo anche noi) ma ha un atteggiamento completamente diverso nei confronti dei fatti. Se il cinema italiano crea un mondo di finzione solo per dire le cose come stanno, per cercare di rappresentare nella maniera più corretta i fatti, Hollywood lavora molto di adesione ad un realismo che è tale solo sulla carta per deviare dai fatti e mirare sempre ai sentimenti. Il cinema d’impegno civile è spettacolo tanto quanto gli altri film ed è uno spettacolo che si crea con le lacrime e l’indignazione, il cuore del racconto non sono mai gli eventi (dipinti per sommi capi) ma sempre come sono stati vissuti dai protagonisti, la storia sentimentale al posto della storia reale.

Il diritto di opporsi non nasconde mai di andare dritto in quella direzione, con il suo avvocato giovane e pieno di ideali e il suo detenuto innocente che nessuno vuole credere tale, con la polizia cattiva e l’accusa spietata. L’intento è compatire la vittima di un sistema che respinge l’idealismo del protagonista (che in una scena arriverà ad andare sotto casa del pubblico ministero per confrontarlo proprio sulla sua etica, per fargli capire che sta sbagliando), più che raccontare le forze in campo. Tutto è funzionale alla compassione più che alla comprensione.

Il problema di Il diritto di opporsi però non è nemmeno questo, non è la rappresentazione idealizzata di un gruppo di detenuti buonissimi che si vogliono bene e fanno tutti sempre la cosa giusta, non è il continuo ripetere a oltranza sempre la medesima situazione, ma il fatto di non sapere veicolare a dovere ciò che gli preme.

Questo tipo di cinema classico e immortale non vive certo della sua coerenza ma semmai della capacità di creare immagini che dicono più di mille parole, di mettere in scena la condizione di una collettività di individui marginalizzati tramite le vicissitudini di un singolo che riesce (di nuovo, tramite le immagini) a farsi universale. Tutto questo qui non accade.

Il diritto di opporsi anzi punta sugli attori, creando continui assolo e momenti in cui metterli in mostra. Così facendo non fa che adombrare il proprio tema con la propria vanità, finendo per chiudere forzatamente su una nota positiva quella che in realtà è una storia di profonda ingiustizia. E alla fine ciò che rimane di vero è pochissimo, giusto una parvenza, ciò che rimane di urgente è anche meno e ciò che rimane di teatrale moltissimo.

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