Il curioso caso di Benjamin Button

Un uomo nasce anziano e ringiovanisce con il passare degli anni, mentre la morte si porta via i suoi cari. Visivamente straordinario, un buon film che avrebbe potuto essere un capolavoro...

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Recensione a cura di ColinMckenzie

TitoloIl curioso caso di Benjamin ButtonRegiaDavid Fincher
CastBrad Pitt, Cate Blanchett, Taraji P. Henson, Tilda Swinton, Julia Ormond
Uscita13 febbraio 2008La scheda del film

Il curioso caso di Benjamin Button è decisamente una pellicola contraddittoria, in cui si passa dal geniale al mediocre nell'arco di pochi minuti. La prima mezz'ora di film è notevolissima, con almeno una scena che meriterebbe di entrare nella storia del cinema (diciamo che è legata a un orologio e alla guerra, così non vi tolgo il piacere di scoprirla). Ma anche il momento drammatico che dà tutto un altro corso alla vita di Benjamin e che avviene durante delle celebrazioni è visivamente imponente e decisamente ambizioso.
A livello artistico, anche l'ultima parte funziona benissimo, partendo prima da una sottile malinconia di fondo che poi si trasforma in totale commozione alla fine (e che mi fa pensare che i critici che hanno parlato di 'film freddo' abbiano visto un'altra pellicola o comunque abbiano un'idea molto particolare delle sensazioni del pubblico).

Il problema è la parte centrale. Che è tutt'altro che brutta, anzi, e che offre anche momenti molto interessanti. Solo che a tratti si perde di vista la vera storia del film tra il personaggio di Cate Blanchett (Daisy) e quello di Brad Pitt (Benjamin). L'impressione è che tutta la parte in Unione Sovietica e quella legata alla guerra non siano utilissime, soprattutto la seconda, che sembra quasi fatta per esigenze di serietà (dobbiamo mettere il conflitto!). Non si può certo criticare il personaggio di Tilda Swinton, che è molto interessante e che offre un ottimo arco narrativo a tutto il film, peraltro nobilitato da un'interpretazione notevole. Tuttavia, una sforbiciata lì (la scena in giro per strada, qualche incontro di troppo) e soprattutto allo scontro in mare l'avrebbe resa una pellicola con venti minuti in meno e più compatta. Ma forse l'idea era propria di raggiungere lunghezze epiche di default.

Un altro errore di Fincher è il continuo passaggio tra presente (con Daisy ormai vecchia in un letto d'ospedale) e passato. Pensate se in Titanic avessimo visto Gloria Stuart ogni 5-10 minuti come avviene qui. E' una scelta inspiegabile e insensata (a parte una scena verso la fine, in cui è importante vedere la reazione di uno dei protagonisti nel presente), che purtroppo ci allontana continuamente dalla vicenda che stiamo seguendo, riportandoci a una realtà ben diversa.

Detto questo, i pregi della pellicola sono tanti e innegabili. Iniziamo dal più evidente, l'incredibile lavoro sull'immagine. Il direttore della fotografia Claudio Miranda ci regala momenti magnifici (pensiamo alla sequenza a lume di candela o a Cate Blanchett che balla per sedurre Brad Pitt, ma si potrebbero segnalare tanti altri istanti), ma soprattutto riesce a lavorare perfettamente con il reparto degli effetti speciali, che risultano al servizio della storia, perché cercano di non farsi vedere (tutto il contrario di quanto avveniva su Australia).  Ma anche l'apporto di Donald Graham Burt e delle sue scenografie è assolutamente notevole. Deve essere stato un lavoro immenso passare tra tante differenti epoche storiche, per non parlare dei luoghi diversi mostrati dal film, ma Burt ci riesce in maniera accurata e affascinante.

Ovviamente, tutto questo è reso possibile da una personalità registica assolutamente brillante. Non c'è dubbio che in David Fincher c'è una voglia di mostrare grande cinema in tutto e per tutto. Ma sarebbe un errore limitarsi a questo, perché il regista mostra anche una capacità di esplorare i sentimenti e un'acutezza che in tanti altri suoi film non si notava. Pensiamo soltanto alla stanza vuota per rappresentare la morte, un esempio perfetto di come dire tanto con poco. O ai funerali a cui assiste Benjamin, che spesso risulta un fantasma poco collegato agli altri (anche questo, un modo silenzioso di esprimere un concetto importante). In altre situazioni, magari, si punta su qualche formalismo di troppo, come nella sequenza del 'taxi' (ma difficile rimanere indifferenti, comunque). E Fincher non risulta proprio convincentissimo quando cerca di essere leggero. Tuttavia, va dato atto al regista di aver creato un film bello e commerciale incentrato sulla morte, non proprio un compito elementare. E chi, ai tempi di Alien 3, avrebbe mai potuto pensare che avrebbe raggiunto certi traguardi?

E' anche interessante notare il lavoro sulla sceneggiatura. E' impossibile non fare paragoni con Forrest Gump, considerando che Eric Roth si era occupato dello script anche di quel film. Non è soltanto la figura di un uomo diverso dagli altri, ma soprattutto i rapporti che ha con chi gli sta più vicino (la donna che ama e la madre). E c'è anche una panchina importante! Rispetto a quel titolo Benjamin Button è sicuramente più elaborato e meno piacione, ma forse (a tratti) anche più falsamente pretenzioso. E' facile (e anche, in parte, corretto) dire che i conflitti risultano più esistenziali che concreti, alcune vicende più da romanzo e che ci sia un po' troppa filosofia spicciola. Ma va detto che, alcune cose che a prima vista sembrano dei difetti, dopo un'attenta riflessione migliorano decisamente. Per esempio, all'inizio il protagonista sembra veramente una piuma al vento (altro che Forrest) ed è difficile non rimanere perplessi da questa scelta. Poi, però, ti viene da pensare che, anche se stiamo vedendo un uomo anziano fisicamente, il suo spirito è quello di un ragazzino ed è naturale fare scelte superficiali.

In tutto questo, era fondamentale che i ruoli più importanti venissero coperti bene. Brad Pitt offre probabilmente l'interpretazione della sua carriera (sì, anche meglio di quella de L'esercito delle 12 scimmie, che mi sembrava troppo a effetto). Pitt è bravissimo sia nelle età estreme (quando deve esprimere sentimenti contrapposti alla sua età apparente), ma anche quando deve comunicare in maniera complessa i suoi sentimenti (per esempio, col padre). La Blanchett (a parte le scene in ospedale piena di makeup) ha un ruolo ingrato, che è facile sottovalutare. Eppure, anche se all'inizio è difficile capirlo, è il suo personaggio che forse esprime al meglio lo spirito del film, per via di un arco narrativo decisamente ampio. E' magnifica quando piange, ma soprattutto verso la fine, quando il rischio di cadere nel ridicolo sarebbe fortissimo e viene invece evitato brillantemente.  

Insomma, in tutto questo l'unico rammarico è non poter utilizzare il termine 'capolavoro', per via dei difetti descritti sopra. Ma Il curioso caso di Benjamin Button ci regala momenti di grande cinema. E di fronte all'alternativa tra prendere e lasciare, il problema non si pone neanche. Si ringrazia e basta...

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