Il Corriere - The Mule, la recensione
Un viaggio attraverso il paesaggio umano americano fatto con lentezza, Il Corriere - The Mule è un film di incredibile godibilità
È una storia vera e paradossale, tratta da un articolo del New York Times, nella quale il floricultore in rovina decide di diventare corriere per i trafficanti messicani, poiché abituato a viaggiare in macchina e mai fermato in tutta la sua vita dalla polizia. Nessuno lo scopre perché al di sopra di ogni sospetto.
Non è uno spunto diverso dall’ironia di Pain and Gain, Trafficanti o tutti quei film che hanno affrontato storie vere e paradossali enfatizzandone il senso grottesco. Ma non è il grottesco che interessa ad Eastwood, anzi! Il suo tocco normalizza qualcosa di clamoroso.
Dopo il trattamento Eastwood Il Corriere - The Mule è una storia che si svolge secondo un asse caro al regista (quello del doppio punto di vista del criminale e del poliziotto che lo caccia, senza che nessuno dei due sia connotato come positivo o negativo) e invece di essere grottesca la storia è leggera. La vera sorpresa è l’ottimismo del quale è pervasa questa trama sulla carta amara e terribile. Il floricultore ha una brutta situazione familiare, le gang lo tengono all’oscuro di molto e lui rischia di perdere tutto, eppure canticchia, fischietta, si ferma a mangiare in posti buoni, ci mette più del previsto ad arrivare ma consegna sempre (ed è fantastico come Eastwood reciti contro la propria immagine da vecchio scorbutico canonizzata in Gran Torino). Nemmeno le consuete minacce da gang lo spaventano, lui è tranquillissimo, non nasconde la droga ma la tiene nel bagagliaio del pickup mentre procede a velocità di crociera moderate sull’autostrada.
Tuttavia più che la godibilità del film (eccezionale) a rimanere impresso è il paesaggio umano.
Questo paesaggio americano è infatti il mondo visto da Eastwood, quello in cui le categorie non contano, servono solo per essere apostrofati. Lui è “Ehi vecchio!”, le motocicliste gay sono “Ehi lesbiche!”, gli afroamericani che si ferma ad aiutare perché hanno una ruota sgonfia sono “Voi negri”, a contare sono i singoli mai le etichette e il loro sovrauso è per svilirne il potere identificativo, per ridurle ad appellativi. Anche i trafficanti messicani non sono dei bastardi necessariamente, il numero 2 del cartello in particolare è guardato con fare quasi paterno, esattamente come avviene con il poliziotto che gli dà la caccia. Sono sullo stesso piano perché sono due poveri diavoli alla stessa maniera.
In un film in cui il protagonista sceglie scientemente di aiutare il traffico di droga per non ammettere di essere finito rovinato, sembra che non esista una vera morale se non quella personale, quella con cui si conducono le singole interazioni.