Il confine verde, la recensione | Festival di Venezia

Diviso tra scuole di pensiero di aiuto diverse e lo shock value della morte dei migranti Il confine verde è un film corretto con poca inventiva

Critico e giornalista cinematografico


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La recensione di Il confine verde, il film di Agnieszka Holland presentato in concorso alla Mostra del cinema di Venezia

Agnieszka Holland si interessa all’europa fin da Europa Europa, si interessa cioè dell’incrocio di nazioni (comprensibilmente più che altro quelle che girano intorno alla sua Polonia) e a come funzioni, cosa faccia, decida, comporti l’Europa e in un certo senso anche, in questo film, cosa voglia dire oggi essere europeo in uno stato di confine come la Polonia, con quali dinamiche la cosa imponga un confronto e una presa di posizione.

Il confine verde racconta con una certa perizia cosa accada ai migranti quando arrivano al confine di terra tra Polonia e Bielorussia (un bosco umidissimo invece dei nostri mari) come i due stati si rimpallino senza nessuna pietà esseri umani e come questi ne escano (letteralmente) massacrati, morti, feriti, mutilati. È quel tipo di film che indugia molto sulle tragedie individuali dei migranti e che punta sullo shock value di una violenza efferata per suscitare indignazione. Una buona parte di Il confine verde è questo: la violenza di esseri umani contro altri esseri umani senza alcun riguardo per la vita umana.

Nella seconda parte invece ci sono i polacchi, cioè sia un soldato che ha dei dubbi su quello che fa, è imbevuto di propaganda ma il suo corpo rifiuta quelle angherie, sia invece chi cerca di aiutare queste persone a rischio della propria incolumità.

Questo è un film di bianchi e neri girato in bianco e nero, un film che vuole esacerbare gli animi e a cui non interessa molto capire cosa accada ma mostrarlo, non si chiede da dove venga questa violenza, se non marginalmente, e preferisce invece mostrare o provare a capire dove vada. Molto meglio quando inizia a raccontare come all’interno di chi vuole salvare i migranti ci siano persone diverse con idee molto diverse se non opposte di aiuto, che sono anche visioni di mondo diverse: chi vuole salvare le singole persone, subito, rischiando pure tutto per una vita, contrapposto a chi gioca una partita più lunga e accetta la morte di alcuni per salvarne di più domani.

Questa contrapposizione di scuole di pensiero il film a quel punto l’ha costruita anche negli spettatori, il cui animo pure è diviso tra il desiderio che qualcuno faccia qualcosa subito per i personaggi dei migranti a cui ci siamo affezionati, e la consapevolezza che arrestate quelle poche persone che portano aiuto non rimanga molto altro. Pulsioni che corrispondono a idee. Tuttavia nonostante intrecci e vicende abbastanza appassionanti che gradualmente costruiscono il finale, anche stavolta in Agnieszka Holland rimane l’impressione di un film giusto e corretto ma non sorprendente né realmente coinvolgente al di là del fattore shock e dell’indignazione. Una parziale mitigazione di tutto questo è portata nel finale dall’arrivo di figure umane o conversioni umane. Come se poi alla fine le persone (che sono state il problema fino a quel punto) possano anche essere la soluzione.

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