Il comandante e la cicogna, la recensione

Approdato dopo molte commedie e i recenti drammi ad uno stile che rasenta il teatrale mescolato al favolistico Soldini gira quello che è probabilmente è il suo film peggiore...

Critico e giornalista cinematografico


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L'intento era quello di fare una favola e, come per tutti i film dal tono favolistico, realizzare un ritratto del paese utilizzando il disincanto infantile e bonario, un po' come l'affresco che la pittrice squattrinata e poco opportunista di Alba Rohrwacher realizza per l'avvocato spietato, trafficone e, lui sì, opportunista di Zingaretti: dentro c'è stato messo tutto a forza e l'insieme, altamente disomogeneo, non brilla nemmeno per stile.

Soldini sceglie di andare lontanissimo sia dai film che gli hanno regalato la notorietà, sia dall'ultimo esperimento più melodrammatico e molto riuscito di Cosa voglio di più, per girare una storia dai molti personaggi, con statue che parlano e considerazioni di ordine generale sulla razza italiana di sempre e di adesso. Inutile nascondersi, non è proprio il massimo fin dalle premesse.

Ma se lo spunto promette male il film, forse, è anche peggiore. Perchè quasi il favolismo fosse un alibi in Il comandante e al cicogna non si trova nulla di quel che caratterizza il miglior Soldini, non ci sono i dialoghi fulminanti, non c'è la capacità di indagare personaggi e nemmeno quell'abilità tutta sua di girare apparentemente a vuoto e rendere così il senso di una storia, un mondo o anche solo di un uomo.

Paradossalmente sembra osare di più del solito facendo di meno. Meno in termini di sofisticazione, meno in termini di raffinatezza espositiva e meno anche in cura della messa in scena (la sequenza della corsa furiosa in bici è un gioiello di pessima computer grafica unita a pessimo spunto creativo).

Il regista di Giorni e Nuvole o Pane e Tulipani è irriconoscibile in questo pasticcio noiosissimo e terribilmente contenutista, che attacca tutti e quindi nessuno, che spennella un'italietta in cui si salva solo il passato e si depreca il presente, in cui si accarezzano i numi tutelari e nessun uomo comune.
Cosa sarebbe stato di questo film senza il Mastandrea mascherato da Germi (e con la parlata di Mario Magnotta) o senza il Battiston barbuto anarchico ma acculturato linguista, è materia per documentari d'orrore.

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