Il comandante e la cicogna, la recensione
Approdato dopo molte commedie e i recenti drammi ad uno stile che rasenta il teatrale mescolato al favolistico Soldini gira quello che è probabilmente è il suo film peggiore...
L'intento era quello di fare una favola e, come per tutti i film dal tono favolistico, realizzare un ritratto del paese utilizzando il disincanto infantile e bonario, un po' come l'affresco che la pittrice squattrinata e poco opportunista di Alba Rohrwacher realizza per l'avvocato spietato, trafficone e, lui sì, opportunista di Zingaretti: dentro c'è stato messo tutto a forza e l'insieme, altamente disomogeneo, non brilla nemmeno per stile.
Ma se lo spunto promette male il film, forse, è anche peggiore. Perchè quasi il favolismo fosse un alibi in Il comandante e al cicogna non si trova nulla di quel che caratterizza il miglior Soldini, non ci sono i dialoghi fulminanti, non c'è la capacità di indagare personaggi e nemmeno quell'abilità tutta sua di girare apparentemente a vuoto e rendere così il senso di una storia, un mondo o anche solo di un uomo.
Il regista di Giorni e Nuvole o Pane e Tulipani è irriconoscibile in questo pasticcio noiosissimo e terribilmente contenutista, che attacca tutti e quindi nessuno, che spennella un'italietta in cui si salva solo il passato e si depreca il presente, in cui si accarezzano i numi tutelari e nessun uomo comune.
Cosa sarebbe stato di questo film senza il Mastandrea mascherato da Germi (e con la parlata di Mario Magnotta) o senza il Battiston barbuto anarchico ma acculturato linguista, è materia per documentari d'orrore.