Il Codice da Vinci

Lo studioso Robert Langdon viene convocato al Louvre per far luce su un omicidio. Si ritroverà a dover fuggire per dimostrare la sua innocenza e per svelare un segreto vecchio di millenni. Da un libro interessante, un film di una bruttezza quasi sacrilega...

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Quando si parla dell’adattamento del maggior best seller della letteratura mondiale (siamo oltre i 40 milioni di copie vendute and counting), penso possa essere utile parlare anche del romanzo in questione. Un libro (e un autore) furbo, furbissimo. Che unisce in maniera molto astuta alcuni elementi apparentemente inconciliabili e che, senza dubbio, ottiene lo scopo di far girare le pagine al lettore in maniera vorticosa (qualità poco stimata, ma decisamente importante).

In primis, c’è una classica storia hitchcockiana (molti critici hanno parlato del film in questi termini, ma a ben vedere il lavoro di Dan Brown era già chiaramente su questa strada). Un innocente che viene creduto colpevole e che deve fuggire non solo per scagionarsi, ma anche per far luce sul/i delitto/i di cui è accusato, mentre un poliziotto arcigno cerca di incastrarlo e i veri colpevoli tramano nell’ombra. E che, così facendo, instaura un rapporto sempre più forte con la donna che lo aiuta nel caso. Unica differenza: qui la protagonista ha un ruolo più attivo (almeno nel libro, nel film invece non è così) e non è bionda, a differenze delle magnifiche Grace Kelly, Tippi Hedren, Kim Novak o Eva Marie Saint. Ma, come lo ha definito qualcuno parlando dei film del maestro inglese, il “viaggio iniziatico della coppia” c’è tutto (e ‘iniziatico’ è proprio il termine adatto).

C’è poi l’aspetto che mi ha lasciato più interdetto, quello della ‘Settimana Enigmistica’. Il libro è infatti pieno di anagrammi, codici numerici, indovinelli e quant’altro, che sembrano voler offrire la giusta dose di passatempi al lettore da spiaggia sprovvisto del celebre settimanale. Il problema è che questo porta a delle situazioni assurde, come il fatto di mostrare due dei maggiori esperti mondiali dell’argomento (o supposti tali) in difficoltà di fronte ad una banale scritta al contrario.

Ora, tutto questo non basterebbe certo a spiegare l’immenso successo del libro ed ecco arrivare l’elemento fondamentale: le ‘rivelazioni’ religiose. Che rivelazioni non sono assolutamente, nel senso che basta essere un po’ informati e avere una cultura media per sapere di non essere di fronte a nulla di nuovo. Il finale de L’ultima tentazione di Cristo non era appunto questo? E un popolare fumetto come Preacher non affrontava già la questione della discendenza del figlio di Dio (in maniera, ça va sans dire, decisamente grottesca)? Insomma, nulla di nuovo sotto il sole.
Più che altro, l’impressione è che Brown sfrutti una certa distanza tra la chiesa ufficiale e i credenti, che non si sentono perfettamente rappresentati da una certa rigidità delle gerarchie cattoliche. Insomma, Brown, più che essere la causa di una certa ribellione della base, sarebbe l’effetto di un problema già esistente. Al quale l’autore offre una sorta di new age riappacificante, che per molti lettori (piaccia o meno) ha rappresentato un’esperienza ben superiore ad un semplice passatempo, nonostante delle ingenuità spaventose (il Vaticano che chiude i rapporti con l’Opus Dei per eccessivo progressismo? Ma per piacere…).

Dopo questo lungo preambolo, è abbastanza evidente come le decine di milioni di lettori avessero delle aspettative molto forti verso l’adattamento dell’opera di Brown. Il tono dell’opera sarebbe stato annacquato a causa delle pressioni religiose? E le lunghissime disquisizioni storico-religiose sarebbero state tagliate per ragioni di ritmo?

Purtroppo, Il codice Da Vinci rimarrà nella storia per due motivi poco lusinghieri. Il primo ha poco a che fare con gli autori della pellicola, ma è un primato tutto nostrano. Il doppiaggio è a livelli vergognosi e se è vero che di prove pessime (anche per film importanti) ultimamente ne avevamo avute molte, probabilmente non si era mai scesi così in basso (in particolare per il personaggio della Tautou). L’impressione (meglio, la speranza) è che la versione originale sia arrivata soltanto all’ultimo momento, costringendo ad un lavoro approssimativo e frettoloso.
Ma quello che è veramente grave (perché non può certo essere risolto con una visione in originale), è una sceneggiatura vergognosa, ad opera di Akiva Goldsman. Difficile sorprendersi del risultato: se si prende ‘l’autore’ di Batman Forever, Batman & Robin, Lost in Space, I, Robot e, perché no, A Beautiful Mind (che gli avrà anche dato l’Oscar, ma che brilla per assurdità come le altre) inutile farsi illusioni. Goldsman riesce nell’impresa di mischiare innumerevoli e barbosissime scene di dialogo (spesso stupide e/o inutili) ad una fretta eccessiva nell’azione, che porta i personaggi ad apparire come dei manichini, desiderosi soltanto di sproloquiare sul Graal, i Templari e il Priorato di Sion, senza preoccuparsi invece delle loro sorti. Sembra quasi che qualcuno abbia detto loro di stare tranquilli, “tutto andrà bene”, l’importante è spiegare tutto, anche la fobia di Langdon (come se non l’avessimo capita) e non pensare a creare dei veri rapporti personali che conquistino lo spettatore. Inoltre, anche le sorprese del libro (in questo senso, molto più cinematografico della versione in pellicola) vengono sfruttate malissimo (soprattutto l’identità del ‘Maestro’).
Insomma, uno degli sceneggiatori più amati da Hollywood riesce a mantenere (se non enfatizzare) i peggiori difetti del libro (fughe assurde e situazioni improbabili comprese) senza essere altrettanto avvincente e stimolante. Probabilmente, il suo lavoro verrà studiato in futuro nelle scuole di cinema, per far capire come NON si adatta un romanzo di successo.

Non è che gli altri, per la verità, se la cavino meglio, tanto che è difficile disgiungere le colpe di Ron Howard da quella del suo scribacchino. Il regista adotta dei procedimenti degni di un documentario televisivo (la fusione di passato e presente nella stessa scena) e in generale sembra assolutamente incapace di trovare il ritmo ideale per rendere giustizia alla storia. E’ chiaro che c’è una difficoltà a collegare tutti le varie vicende parallele, così come un eccessivo (e spesso inutile) utilizzo dei flashback. E la volontà di mostrarsi coraggiosi di fronte alle prevedibili pressioni ecclesiastiche, porta ad eccedere chiaramente in più punti (penso soprattutto alla prolungata visione del monaco albino che si flagella). Se poi si guarda al budget (140 milioni di dollari) e ai risultati, non si può non rimanere stupefatti. D’accordo il costo per ricostruire la Roma antica e l’assedio di Gerusalemme (in scene talmente brevi comunque da essere inutili), ma qui abbiamo un film fatto di dialoghi, dove stanno tutti questi soldi? Non certo nell’unica, vera scena d’azione, in cui la Tautou compie delle evoluzioni automobilistiche da far impallidire Michael Schumacher, con sullo sfondo una musica incredibilmente soave (e quindi assolutamente fuori contesto). Peraltro, è il momento peggiore di tutto il film, alla pari con la rivelazione finale di Hanks alla Tautou (che è involontariamente ridicola non tanto per quello che dice, ma per il modo in cui lo dice).

Anche gli attori danno una pessima prova (inutile dire che non vengono aiutati dai sacrileghi – in senso cinematografico – Goldsman e Howard). Tom Hanks non ha probabilmente mai recitato così male e l’umanità che sprigiona normalmente qui è assente. Audrey Tautou dimostra ancora una volta che, quando non è diretta da Jeunet, è un’attrice come tante altre (basta vedere la sua scena madre, pessima, con Paul Bettany). Sarebbe stato molto meglio (ma forse, troppo coraggioso) prendere Julie Delpy, che tanto voleva far parte del film. Per quanto riguarda Ian McKellen, molti salvano la sua interpretazione, ma francamente è troppo gigione per essere veramente convincente.

E francamente, la mezz’ora finale (che peraltro non è così infedele al libro come sosteneva qualcuno), è decisamente troppo lunga e poco cinematografica. Sembra di assistere quasi alla parte conclusiva de Il Ritorno del Re. La ‘piccola’ differenza è che quello era un film che aveva conquistato il pubblico grazie ad una storia e a dei personaggi magnifici. Questo (dopo un buon primo weekend al botteghino) verrà dimenticato in fretta…

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