Il capo perfetto, la recensione

Fernando León de Aranoa ritorna con Il capo perfetto ad affrontare con piglio ironico e grottesco temi scottanti dell’attualità, trovando ancora una volta l’equilibrio perfetto tra critica sociale e risata amara.

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Il capo perfetto, la recensione

Memore dell’ironia dissacrante di Perfect day, dove tre operatori umanitari vivevano disavventure tragicomiche durante una missione in Bosnia, il regista e sceneggiatore Fernando León de Aranoa ritorna con Il capo perfetto ad affrontare con piglio ironico e a tratti grottesco temi scottanti dell’attualità, trovando ancora una volta l’equilibrio perfetto (non a caso qua gira tutto intorno a delle bilance…) tra critica sociale e risata amara.

Il proprietario della fabbrica di bilance Blanco Bàsculas, il signor Blanco (Javier Bardem) è in tutto e per tutto un antieroe senza scrupoli. Pressato dall’imminente visita di una commissione regionale che affiderà un premio all’eccellenza produttiva, Blanco passa una settimana d’inferno in cui deve risolvere mille questioni lavorative e personali (tutte intrecciate tra di loro) motivo di disperazione (per lui) e risate (nostre), e che gestisce in un turbinio di sinceri favori e orribili meschinità che fanno di lui un personaggio paradossale e totalmente affascinante.

Sorretto da una scrittura sofisticata, che accumula indizi e piste che poi esplodono nel finale allineandosi perfettamente, Il capo perfetto è però appunto sorprendete, in primis, per il lavoro che compie sul suo protagonista. Blanco rimane sempre convinto (e su questo non cambia mai) che il fine giustifichi i mezzi, è pronto a rovinare la vita altrui per il bene della fabbrica (ovvero il suo bene), eppure de Aranoa - grazie anche alla performance calibratissima di Bardem, sempre in bilico tra la macchietta e l’interpretazione autoriale - ce lo fa sentire scomodamente vicino, ce lo fa comprendere e amare. Non solo perché chiama “figli” i suoi dipendenti, gli fa regali e favori (e anzi questo dovrebbe farcelo disprezzare per il suo paternalismo): ma perché Blanco, nonostante tutto, pensa veramente di agire in modo positivo. 

Equilibrato a tutti i costi - anche quello di falsare il peso di una bilancia con un metaforico proiettile, “perché la misura sia esatta” - e deciso a mantenere uno status quo, Blanco è in fondo l’anima stessa del film. Il capo perfetto non procede infatti a tesi, cercando di arrivare a una verità o ad una ammonizione (questo lo lasciamo fare a Stephane Brizé), ma passa in rassegna con una salata e intelligente ironia una dinamica che già di per sé è paradossale e senza risoluzioni definitive (quella tra capo e sottoposto), e che quindi si diverte qui ad osservare con la lente d’ingrandimento.

Ecco allora che un oggetto, un comportamento o una dinamica interpersonale fungono da sintesi talvolta pesantemente ironica (la scritta del cancello all’ingresso della fabbrica che assomiglia in modo inquietante a quella di Auschwitz) talvolta semplicemente sintetica (un operaio anziano e fedelissimo da usare come martire involontario di una propaganda emotiva) per guardare al mondo del lavoro attraverso le sue contraddizioni più distintive.

In tutto questo Fernando León de Aranoa tracciauna storia lineare, col suo epilogo bello e compiuto (l’arrivo effettivo della commissione) ma sono in verità il suo sguardo, il modo in cui calibra il personaggio e in cui costruisce una realtà tra il verosimile e il grottesco a rendere Il capo perfetto un film straordinario, in cui non potrà che essere una simbolica bilancia posta all’ingresso della fabbrica a riassumerne con un’efficacia spiazzante tutta l’intenzione.

Siete d’accordo con la nostra recensione di Il capo perfetto? Scrivetelo nei commenti!

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