Il caftano blu, la recensione

Alla scoperta di non detti lunghi una vita, segreti e un vero (ma complesso) affetto coniugale, Il caftano blu di Maryam Touzani è un film dai tempi lunghi, improntato sullo studio dei sentimenti celati dei suoi tre protagonisti e su una storia che, di per sé, si basa tutta sull’attesa di una rivelazione

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La recensione di Il caftano blu, al cinema dal 21 settembre

Alla scoperta di non detti lunghi una vita, segreti e un vero (ma complesso) affetto coniugale, Il caftano blu di Maryam Touzani è un film dai tempi lunghi, improntato sullo studio dei sentimenti celati dei suoi tre protagonisti e su una storia che, di per sé, si basa tutta sull’attesa di una rivelazione. In questo senso Maryam Touzani fa certamente una scelta precisa - quella di fare un film di suggestioni, che ci faccia trovare il piacere del racconto nel non detto. Tuttavia, l’effetto è ben poco affascinante, e anzi l’impressione di fronte a Il caftano blu è quella di un film che si trascina, si ripete, insistendo con atmosfere dolciastre e struggenti quando a farle da base non c’è quasi nulla di concreto.

L’atmosfera è quella ubriacante e soporifera di un film che vuole a tutti i costi essere d’autore, ma che è piuttosto limitato nel più semplice dello storytelling. Al centro di tutto c’è infatti l’idea/immagine di questo caftano blu, che il sarto Halim (Saleh Bakri) e sua moglie Mina (Lubna Azabal) stanno preparando a una simil-misteriosa lentezza (hanno problemi di soldi, ma il punto poi non sarà quello) per una cliente impaziente. Questo lavoro di grande pazienza, per cui l’eccellenza dell’abito può essere ottenuta solo con il tempo, è lo specchio/metafora dell’arrivo in bottega del giovane apprendista Youssef (Ayoub Missioui), che pure con eterni silenzi (che dovrebbero essere intriganti, ma non lo sono affatto) rende palese l’omosessualità celata di Halim.

Il caftano blu è quindi incentrato su questo segreto/non segreto tra Halim e la moglie, il senso di colpa di lui, l’accettazione di Halim di sé stesso e un ulteriore ostacolo che si metterà tra i due e la loro vecchia quotidianità. Sulla carta, tutte questi aspetti dovrebbero rivelarci profondamente qualcosa sui personaggi, il loro modo di essere: e invece Maryam Touzani non fa che insistere su sguardi malinconici, colpevoli, la loro routine quasi sempre uguale senza riuscire mai ad arrivare a nessuna evoluzione del racconto che sia percepita come necessaria.

Svogliato, eppure così sicuro di sé e delle sue possibilità: Il caftano blu si affida totalmente agli attori, che da soli non sanno reggere il peso dell’assenza di uno sguardo registico forte. Assolutamente sbagliato è il personaggio di Youssef - a dir poco mono espressivo e privo di agentività - ma anche i momenti migliori dei due coniugi, essendo così tanto ripetuti, perdono subito la loro forza.

E così quando anche la storia dovrebbe svoltare, abbiamo già lasciato l’empatia per strada. Peccato, perché poi il finale, con una sola inquadratura, racconta della società marocchina e del suo maschilismo (e quindi di riflesso della forza di Mina) molto più di quanto il film abbia fatto in due, infinite, ore.

Siete d’accordo con la nostra recensione di Il caftano blu? Scrivetelo nei commenti!

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