Il buco in testa, la recensione | TFF38

Con una storia politica, quella di Il buco in testa, inframezzata da una umana Capuano esplora il cinema meno mainstream possibile

Critico e giornalista cinematografico


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Che stile Antonio Capuano! Che mano… Quando inizia Il buco in testa, con un’immagine di un treno in arrivo alla stazione di Milano (e una dedica kitsch ai fratelli Lumiére), si percepisce subito una strana qualità in queste immagini illuminate da luce naturale e riprese in un digitale poco lavorato, molto grezzo, da combattimento. Dovrebbe essere un’estetica povera in teoria, così poco curata e così naturale, invece nelle sue mani con le sole armi della composizione, dello staging, del montaggio (sia interno che non) diventa una scelta ricchissima, una calamita per lo sguardo.
Maria Serra è arrivata a Milano da Torre del Greco, cerca qualcuno, un uomo che ha partecipato ad alcuni scontri con la polizia negli anni ‘70. Vediamo però anche il suo passato, recente, quando aveva ancora i capelli lunghi e conduceva una vita senza legami stabili nella sua città, con una madre che arrotonda la pensione con un lavoro faticosissimo e una serie uomini (e ragazzi) che la desiderano.

Il presente è la parte più esplicitamente politica del film, rievoca veri scontri, un vero omicidio, veri pentimenti lungo un incontro che è avvenuto realmente, tirando un bilancio a parole, con qualche sovrapposizione tra memoria dei luoghi degli scontri e quei posti oggi, mentre il flashback è la parte umana. La sensazione è subito che la seconda sia la più riuscita, quella che dovrebbe condire è la più potente, la prima, la più pensata, più studiata e più teorica invece non supera mai il discorso per farsi immagine, non supera mai la parola per lavorare più in profondità.

È invece il muoversi a Torre del Greco di Maria che attrae tantissimo, le persone che vede, il vandalismo, i borseggi che subisce e i pentimenti di chi l’ha perpetrati, i figli dei boss in carcere e un poliziotto/spasimante. Quel troncone di film che si alterna con il presente non ha nessuna trama, è un pezzo di cinema da Richard Linklater o da Umberto Contarello (solo per citare due ispirazioni che di certo non sono tali per Capuano e che non hanno niente a che vedere con questo film) calato nel contesto più abusato dal cinema italiano contemporaneo fino a rinnovarlo o almeno a ridargli interesse.

La vita ordinaria di Maria è animata moltissimo da Teresa Saponangelo in un modo che Tommaso Ragno non riesce a fare nei segmenti presenti, è così vitale, umana e naturale nella sua messa in scena scarna e piena di salti. Ogni scena, quasi autoconclusiva ha i suoi eccessi e segue le sue regole, dal massimo del naturale al massimo del fasullo e poi anche teatrale (i momenti dedicati alla madre). Capuano che con Luna Rossa aveva contaminato benissimo realtà criminali campane con Shakespeare, che con Vito e gli altri aveva fondato il tipo di storie di cui il cinema d’autore italiano tutto sì è oggi appropriato qui va da un’altra parte ancora e stabilisce un terreno ancora inedito per parlare di umanità.

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