IF - Gli amici immaginari, la recensione

Cinema per ragazzi che parla di temi, suggestioni e questioni molto adulte, IF ha una tenerezza scatenata dalla messa in scena che commuove

Critico e giornalista cinematografico


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La recensione di IF, il film misto animazione e live action con Ryan Reynolds, in sala dal 16 maggio

Chissà cosa ne penseranno i bambini, cioè il pubblico che il trailer e il marketing di IF - gli amici immaginari vogliono attirare, del fatto di non essere il pubblico che il film sembra avere in mente. Almeno non quello primario. Chissà cosa penseranno di una storia che funziona come un coming of age e un’elaborazione della perdita insieme, con quasi niente di azione e un montaggio molto quieto, fondato sui sentimenti e uno scavo il più a fondo possibile sul senso di perdita e il risveglio di ricordi lontani che loro non possono avere ma appartengono più agli adulti.

A sorpresa infatti IF è un film che parla di cose adulte, elicita sentimenti adulti tramite l’espediente della Madeleine e ha proprio il passo del cinema adulto mentre accompagna la sua protagonista, una bambina di 12 anni che passa alcuni giorni a New York per stare vicino al padre, malato di cuore in attesa di un’operazione il cui esito è dubbio. Lei ha già perso la madre e attende con grande paura l’intervento. Nel palazzo in cui vive con la nonna scopre una gang di amici immaginari che non hanno più un bambino di riferimento perché i loro sono cresciuti e non li vedono più. Li aiuterà a trovarne di nuovi o a recuperare i vecchi.

Questo è un film di raggi di sole che entrano dalla finestra e rimbalzano sui petali di fiore, un film in cui tutto è New York, specialmente gli interni dei palazzi, i pavimenti e il design del mobili o anche dei classici lampadari. John Krasinski dimostra che i due A Quiet Place non sono un caso e fa un lavoro eccezionale di messa in scena. Invece di usare la scrittura, si mette al lavoro per trovare un’armonia perfetta tra audio e video tra la fotografia di Janusz Kaminski, l’art direction di Christopher J. Morris (già con Krasinski su A Quiet Place II), la scenografia di Jess Gonchor (collaboratore abituale dei Coen) e lo score di Michael Giacchino, in modo che queste componenti raccontino tutto. Lo si capisce nel montaggio iniziale, la classica sequenza sui titoli di testa che mostra la famiglia unita, che tuttavia grazie al connubio di immagini e suoni ha un tono così tenue (specialmente nei movimenti di macchina e nella luce), una mestizia tale (nello score) che nonostante il film sia appena iniziato è tutto già nostalgico, malinconico e già sembra di stare guardando un affetto che se n’è andato.

Entreranno poi i personaggi animati, principalmente un gigantesco peluche che sembra uscito da Monsters & co. e un’apetta ballerina disegnata con lo stile dei fratelli Fleischer (ok che era l’amica immaginaria di una nonna, ma non ci sono più nonne che erano bambine negli anni ‘30 o ‘40!) e con loro un gruppo presentato con dei provini in stile Sing. Tutto divertente come si conviene, alleggerito anche grazie a Ryan Reynolds, gestore di questa banda di personaggi animati con un personaggio che si chiama Calvin (come Calvin & Hobbes, striscia umoristica basata su un amico immaginario). È il lato leggero di un film che le sue carte invece le vuole sempre giocare nel tenero e nel commovente, e che specialmente nel finale riesce a farlo anche grazie a un gran lavoro sulla capacità degli attori comprimari (volti che abbiamo visto mille volte e che attori! Che casting che è stato fatto!), trovando un’insperata nota di gioia e serenità che, quella sì, può commuovere.

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