Iddu - L'ultimo padrino ricorda un po’ Palazzina Laf. Un po’ perché entrambi hanno Elio Germano come personaggio negativo ritratto però spingendo sulla caricatura, quasi da fumetto. Ma soprattutto entrambi i film, tratti da drammatiche storie vere, provano a raccontarle con umorismo grottesco. Iddu inventa i suoi protagonisti buoni, ma li usa per raccontare una Sicilia vera. Quella di Matteo Messina Denaro, dell’omertà e delle prigioni a cielo aperto della latitanza. C’è un muro altissimo che permette al boss di Cosa nostra di pranzare, non visto, alla luce del sole. Il vicino farà un buco, abusivo, al muro abusivo, perché si sente soffocare. Rischierà la vita per questo affronto.
Iddu ha due atmosfere. Una serissima, quella di Messina Denaro, e una da commedia contenuta nella figura scombussolata di Catello, ex preside ed ex criminale, ex di tutto.
Toni Servillo lo interpreta a partire dai capelli: slavati dalla prigione, tinti appena uscito dal carcere. I registi Fabio Grassadonia e Antonio Piazza trovano in lui il grimaldello per provare ad entrare nel cinema di denuncia con un linguaggio diverso. Vanno a colpire le assurde ritualità della criminalità organizzata, il linguaggio forbito e letterario dei pizzini (in Italia nessuno legge tanto come i carcerati, si dirà) e la primaria importanza del timore, della grandezza percepita, nel mantenere il potere. Ridere di chi può ammazzarti è un’arma per la lotta della giustizia. È ciò che fa sbagliare i boss: in questo mondo un soprannome fuori controllo ha la potenza distruttiva di una retata.
Il ridicolo uccide molto più delle pallottole.È un peccato quindi che il film non riesca a mantenere a lungo quest’atmosfera e l’alterni con una ordinaria mestizia. Non funziona la già vista parentesi sulla corruzione delle forze dell’ordine. Per incastrare il boss ci sono all’opera molti uomini e donne, solo una vuole veramente assicurarlo alla giustizia. È debole anche il modo in cui si racconta il latitante, di lui non si osa ridere, ma neanche riprenderlo nella sua piena crudeltà. L’ingegnosa rete di potere con cui mantiene il controllo è solo accennata, non è questo che interessa al film.
Iddu è fatto per il suo tragicomico eroe riluttante. Catello, legato a Messina Denaro, esce dal carcere ed è fallito. Ha il progetto di una albergo, ovviamente abusivo, la cui costruzione è ferma. Non è bello, non è crudele e nemmeno giovane. Crede però nell’intelligenza criminale a cui fa appello per provare a sistemare tutto. La polizia gli chiede di collaborare per allacciare contatti con la rete del boss in cambio ripianerà i debiti.
Tradire, senza farsi scoprire e nel frattempo risollevare la propria situazione famigliare. È qui che il film trova la sua spinta migliore. Ha senso che il tono viri nel dramma, ma ancora più senso che si abbandoni all’assurdità delle situazioni che ha creato. Queste, non vere, ma vicine alla realtà, la raccontano meglio di come potrebbe fare la cronaca. Peccato non avere corso il rischio di fare così tutto il film.