I vivi e i morti, la recensione

Abbiamo recensito per voi I vivi e i morti di Alessandro Di Virgilio ed Emanuele Gizzi, edito da Star Comics

Classe 1971, ha iniziato a guardare i fumetti prima di leggerli. Ora è un lettore onnivoro anche se predilige fumetto italiano e manga. Scrive in terza persona non per arroganza ma sembrare serio.


Condividi

Vale assolutamente la pena di andare a recuperare in edicola o in fumetteria I vivi e i morti, l'ultima graphic novel italiana prodotta da Star Comics e uscita l'aprile scorso. Alessandro Di Virgilio firma l'adattamento del racconto omonimo con cui Maurizio De Giovanni vinse un concorso letterario nel 2005, dando il via alla sua carriera di scrittore. Non è la prima volta che il fumettista di origini napoletane si cimenta con la trasposizione di opere dell'autore suo concittadino, come ricorda in seconda di copertina (la prima è firmata dal grande Carmine Di Giandomenico).

Qui dimostra con la fonte di ispirazione un'empatia unica, che dà luogo a una vicenda intensa e intima. Il legame, l'amicizia e l'assoluta fiducia di De Giovanni nei suoi confronti permettono a Di Virgilio di lavorare con grande libertà, alterando in maniera decisa il soggetto e trasformando questa graphic novel nel prequel del primo romanzo della saga del Commissario Ricciardi (attualmente edita da Einaudi): Il senso del dolore.

Nel fumetto compaiono personaggi di questo universo narrativo assenti nell'opera originale che vengono ritratti con profonda sensibilità e arricchiscono emozionalmente l'intreccio: tra questi emergono prepotentemente tata Rosa, che dopo la prematura morte dei genitori cresce e accudisce il futuro tutore della legge, e il finto burbero dal cuore tenero e sanguinante, il brigadiere Maione.

La trama è avvincente e viene intessuta intorno a un assassino seriale che falcia le sue vittime con un punteruolo conficcato in mezzo alla fronte. Un prete e una prostituta sono i due casi più eclatanti. È un rompicapo in cui solo il protagonista dotato di un dono speciale fin dalla nascita può venirne a capo; perché lui può vedere i gesti, sentire le ultime parole dei morti ammazzati.

Eppure a conquistarvi fin dalla prima tavola non sarà l'impeccabile sceneggiatura di Di Virgilio, ma il tratto di Emanuele Gizzi; profondo e melanconico come l'esistenza che deve catturare, il palermitano DOC ritrae i vicoli e gli angoli partenopei con il trasporto di un conterraneo. Non ci si invaghisce dell'indagatore di turno, perché Ricciardi è una figura complessa, schiva, solitaria, ma si viene conquistati dal suo dolore che è potere e condanna, quasi come un moderno supereroe. La Napoli del 1830 in cui si svolgono gli accadimenti, è una metafora della nostra nazione, che non è mai cambiata in tanti anni, nel bene e nel male, il paese dell'ossimoro perfetto, dove convivono i vivi e i morti, la giustizia e l'ingiustizia, la miseria e la nobiltà.

L'inferno signor commissario, non è solo di là. Sta pure da questa parte [...]

Esistono dei gruppi di persone, mi seguite, che si muovono su una scala assai diversa dalla nostra e dalla mia.
Gente assai potente, custode di… cose al di sopra della vostra immaginazione.

Leggiamo nel testo ricco di espressioni gergali, risonanze dialettali, che ci restituiscono pienamente la patria di Pulcinella, insieme alle incantevoli illustrazioni di Gizzi, che anche se prediligono il nero e non i colori di un suo grande poeta e cantore, Pino Daniele, solleticano alla mente i suoi versi:

Napule è mille paure
Napule è a voce de' criature [...]
Napule è na' camminata
int' e viche miezo all'ate
Napule è tutto nu suonno
E a' sape tutto o' munno
Ma nun sanno a' verità.

Continua a leggere su BadTaste