I tuttofare, la recensione | Locarno74

Un 40enne che dirige come un maestro. Neus Ballùs racconta due persone ordinarie in I tuttofare e tramite loro una comunità intera

Critico e giornalista cinematografico


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I tuttofare, la recensione | Locarno74

Il set-up è semplicissimo: Moha è un immigrato marocchino a Barcellona che risponde all’annuncio di una società di manutenzione a domicilio, serve qualcuno che sostituisca il vecchio Pep che sta per andare in pensione. Da subito però Moha non va a genio a quello che dovrebbe essere il suo collega, Valero, a cui già non piace che non sia spagnolo. Ha sei giorni di prova per dimostrare di poter fare questo lavoro. Noi seguiamo di giornata in giornata le peripezie dei due, totalmente ordinarie, di lavoretto in lavoretto, dentro appartamenti e case, accanto a persone e nuclei familiari diversi, osservando sfaldarsi e ricomporsi ogni volta il loro rapporto.

La qualità di I tuttofare non è di quelle che possono trovarsi nella trama, è una dolcezza davvero fuori dall’ordinario che emerge con molta calma ma conquista, avvolge e riscalda. È nel petulante e fastidiosissimo Valero come nel muto Moha, nell’irascibile Pep e nella quotidianità di queste persone che sembra mostrarsi a noi con la naturalezza dei film di Ozu: piano ma senza noia. Ogni casa che visitano è un caso a sé e ha piccoli personaggi memorabili, tutto è in forma di commedia ma non si cerca mai la risata. È una leggerezza e una partecipazione che vorrebbero essere quelle dei primi film di Ken Loach, in cui la cosa più importante sono sempre le relazioni tra i lavoratori, solo molto meglio di quei film.

Neus Ballùs che della documentazione della realtà di Barcellona è appassionato e che usa tutti attori alla prima esperienza, facce come il cinema non conosce, e li fa recitare benissimo, anche per questo riesce a dipingere piccoli mondi in pochissimo, di casa in casa e di giorno in giorno. Sempre e solo badando a questioni prettamente lavorative, nella loro varietà e nella loro minuscola ordinarietà riesce a far emergere le persone non singolarmente ma come parte di una comunità. Anche raccontando il peggio, cioè il contrasto, il fastidio, le litigate e l’insofferenza, riesce nella stranissima impresa di far uscire il meglio. Come quando inquadra le facciate dei palazzi con le terrazze, persone diverse, individui che sono uno accanto all’altro e formano un insieme più grande. Ma anche solo scegliendo la faccia e il fisico fuori da ogni criterio del cinema di Valero Escolar (attore con nessuna esperienza alle spalle) per il ruolo di Valero, già racconta una persona che ne simboleggia molte di più.

Una volta tanto si può dire che I tuttofare è bello quando non accade nulla e Valero guarda stufo con il suo sguardo storto, il mutissimo Moha. Come se fossero un’inedita coppia: Ollio e Buster Keaton. In tutto questo film in cui i due entrano nelle vite degli altri, in realtà noi non abbiamo mai bisogno di entrare davvero nelle vite degli altri per trovare interesse, nemmeno in quelle dei protagonisti (che è questa cerimonia per la quale Valero necessita di un vestito buono, che situazione ha lasciato Moha a casa sua, cosa farà Pep?), tutto è sfiorato in superficie come scusa per far scontrare i mondi diversi di questi due protagonisti. È chiaro che l’obiettivo è far emergere l’ambiente, il contesto, l’atmosfera di Barcellona e la vita come si svolge nella città, ma subito sembra un obiettivo piccino rispetto allo sguardo che Ballùs dimostra e tramite il quale si vorrebbe poter guardare ogni cosa.
Che capacità che ha questo regista di essere invisibile con la presenza della macchina da presa, pur imponendo da subito un modo chiaro di guardare gli eventi! Un quarantenne che è un maestro fatto e finito.

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