I toni dell'amore, la recensione

I toni dell'amore ha l'andamento del cinema europeo anche se si nutre dell'estetica e dei personaggi del luogo per eccellenza del cinema americano

Critico e giornalista cinematografico


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Nel rimanere vicino al proprio mondo Ira Sachs (ebreo e gay) trova una vena di straordinaria leggerezza e addirittura scavando nei luoghi del cinema americano per eccellenza (New York) trova il miglior filone del cinema europeo.

I toni dell'amore inizia con il matrimonio di una coppia formata da due gay, di cui uno ormai in pensione da tempo e l'altro insegnante di musica in una scuola religiosa. Già nella prima scena (risveglio e ricerca di un taxi per andare alla cerimonia) c'è tutto il segreto del film, il suo tono. Questo matrimonio sarà la causa che induce la scuola cristiana a licenziare il maestro gettandoli in una temporanea situazione di indigenza, non hanno i soldi per pagare l'affitto e devono cambiare casa. Temporaneamente saranno ospitati (dunque verranno separati), occasione che li porta ad approfondire la loro conoscenza degli amici che li ospitano e a mostrare il proprio affetto diversamente.

È difficile immaginare un film in cui, date le premesse che scatenano l'azione (cioè il separarsi dei protagonisti), succeda così poco. I toni dell'amore non tiene nemmeno fede eccessivamente al proprio titolo originale (Love is strange) ma paradossalmente più a quello italiano per come si fonda tutto su un'atmosfera rarefatta e naturalista, simile alla fotografia trasparente di Voudouris. Sembra non pesare nulla questo film di Ira Sachs, in cui gli attori si palleggiano le battute con maestria senza mai strafare, senza cercare mai la scena madre come se stessero lavorando in scene di transizione.
I toni dell'amore è proprio tutto un film in transizione, in cui ogni momento sembra preludere a qualcos'altro, un necessario passaggio per arrivare alla sostanza. Questa sostanza non arriva mai ma il piccolo viaggio di un'ora e mezza nel mondo di Ben e George è riuscito lo stesso.

Tra i doppiopetto di George e i capelli spettinati di Ben, i quadri mai finiti, l'appartamento di Kate e quella strana storia del figlio con i libri francesi si trova un racconto umano che trascende subito la "missione" del film (raccontare l'amore gay in una maniera in cui solitamente non è celebrato, cioè nella tranquillità della terza età) per mettere in scena una porzione di mondo, quella dei benestanti progressisti di New York e proiettarla sul resto dell'umanità. A quelle figure particolari Sachs e Zacharias (co-sceneggiatore) donano temporaneamente la proprietà di rappresentare virtù cardinali, frustrazioni universali, aspirazioni cristalline.

Se il sentimento che lega due esseri umani rimane il centro del film (declinato in molti modi diversi) è la serenità di sguardo di Ira Sachs che fa tutta la differenza, la distensione attraverso la quale fa recitare un ottimo cast in cui nessuno ambisce a nulla se non ad essere l'amante o l'oggetto dell'affetto altrui.

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