I toni dell'amore, la recensione
I toni dell'amore ha l'andamento del cinema europeo anche se si nutre dell'estetica e dei personaggi del luogo per eccellenza del cinema americano
I toni dell'amore inizia con il matrimonio di una coppia formata da due gay, di cui uno ormai in pensione da tempo e l'altro insegnante di musica in una scuola religiosa. Già nella prima scena (risveglio e ricerca di un taxi per andare alla cerimonia) c'è tutto il segreto del film, il suo tono. Questo matrimonio sarà la causa che induce la scuola cristiana a licenziare il maestro gettandoli in una temporanea situazione di indigenza, non hanno i soldi per pagare l'affitto e devono cambiare casa. Temporaneamente saranno ospitati (dunque verranno separati), occasione che li porta ad approfondire la loro conoscenza degli amici che li ospitano e a mostrare il proprio affetto diversamente.
I toni dell'amore è proprio tutto un film in transizione, in cui ogni momento sembra preludere a qualcos'altro, un necessario passaggio per arrivare alla sostanza. Questa sostanza non arriva mai ma il piccolo viaggio di un'ora e mezza nel mondo di Ben e George è riuscito lo stesso.
Tra i doppiopetto di George e i capelli spettinati di Ben, i quadri mai finiti, l'appartamento di Kate e quella strana storia del figlio con i libri francesi si trova un racconto umano che trascende subito la "missione" del film (raccontare l'amore gay in una maniera in cui solitamente non è celebrato, cioè nella tranquillità della terza età) per mettere in scena una porzione di mondo, quella dei benestanti progressisti di New York e proiettarla sul resto dell'umanità. A quelle figure particolari Sachs e Zacharias (co-sceneggiatore) donano temporaneamente la proprietà di rappresentare virtù cardinali, frustrazioni universali, aspirazioni cristalline.