I sette figli del drago, la recensione

Abbiamo recensito per voi I sette figli del drago, antologia di Ryoko Kui pubblicata da J-POP

Classe 1971, ha iniziato a guardare i fumetti prima di leggerli. Ora è un lettore onnivoro anche se predilige fumetto italiano e manga. Scrive in terza persona non per arroganza ma sembrare serio.


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Ryoko Kui si è fatta conoscere e apprezzare a livello internazionale con Dungeon Food, serie attualmente in corso in Giappone per Enterbrain, tradotta e distribuita nel nostro Paese da J-POP. Il primo lavoro della mangaka però, realizzato per la medesima compagnia del gruppo Kadokawa, è una sorprendente antologia fantasyRyu no Kawaii Nanatsu no Ko.

L'opera è stata raccolta in un corposo volume che l'etichetta di Edizioni DB dedicata al fumetto asiatico ha pubblicato alla fine dello scorso aprile con il titolo I sette figli del drago, un brossurato dal formato compatto e dalla notevole foliazione contraddistinto da una buona grammatura (peccato per il lettering spesso microscopico).

Serializzata nel 2012 sulla rivista Fellows!, I sette figli del drago è una miscellanea di sette brevi storie legate o aventi a che fare in qualche modo con esseri leggendari: draghi, sirene e licantropi. Si tratta di favole la cui ambientazione varia dal Medioevo all'attualità, balzando da un imprecisato passato a un presente alternativo. Tutti i mondi presentati sono come sospesi in una dimensione onirica, di meraviglia, in cui la componente mitica è parte integrante del tessuto spazio-temporale del quotidiano e la magia si mescola al pragmatismo della realtà.

L'opera, giustamente catalogata come un seinen, rivela tuttavia dei contenuti per nulla banali e infantili. L'elemento fantastico non è mai il fine della narrazione; ne è invece l'importante comprimario, il mezzo attraverso il quale arrivare alla sensibilità del lettore parlando al suo cuore e al suo cervello. Sotto l'involucro superficiale della fiaba si nasconde un significato più profondo da assaporare, un'interpretazione più sottile da cogliere, l'invito a una cordiale riflessione sul nostro animo, sulla condizione stessa dell'uomo, sui rapporti con i suoi simili e con il resto della Natura.

Ciascun episodio possiede uno spiccato valore simbolico e racchiude in maniera allegorica un insegnamento di vita o di condotta. Lo stile espressivo di Kui mantiene sempre un perfetto equilibrio, senza mai accennare a un giudizio o alludere a una conclusione. Il tono del racconto è pregevole per la naturale freschezza e abbraccia sfumature di registro più o meno lievi, ma mai drammatiche; così sono il suo pennino, leggero ed essenziale, e il suo tratto, incisivo e compassato.

Non vi sveleremo i temi dei brani per non rovinarvi il piacere della scoperta, ma giocheremo a condividere con voi la differente caratteristica che può delinearli uno a uno, la parola-chiave che distinguendoli nettamente ne amplifica l'attrattiva: ne La torretta del drago è il senso di fratellanza a spiccare, e lo fa quello di uguaglianza in Vietato pescare le sirene; ne La mia divinità emerge l'importanza della dedizione, mentre in I lupi non mentono quella degli affetti. Byakuroku lo squattrinato è incentrato sullo stupore, e Quando i bambini fanno i bravi, si sente il drago sulla redenzione; infine, ne La famiglia Inutani viene celebrata l'unicità di ogni persona.

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