I sette figli del drago, la recensione
Abbiamo recensito per voi I sette figli del drago, antologia di Ryoko Kui pubblicata da J-POP
Classe 1971, ha iniziato a guardare i fumetti prima di leggerli. Ora è un lettore onnivoro anche se predilige fumetto italiano e manga. Scrive in terza persona non per arroganza ma sembrare serio.
L'opera è stata raccolta in un corposo volume che l'etichetta di Edizioni DB dedicata al fumetto asiatico ha pubblicato alla fine dello scorso aprile con il titolo I sette figli del drago, un brossurato dal formato compatto e dalla notevole foliazione contraddistinto da una buona grammatura (peccato per il lettering spesso microscopico).
L'opera, giustamente catalogata come un seinen, rivela tuttavia dei contenuti per nulla banali e infantili. L'elemento fantastico non è mai il fine della narrazione; ne è invece l'importante comprimario, il mezzo attraverso il quale arrivare alla sensibilità del lettore parlando al suo cuore e al suo cervello. Sotto l'involucro superficiale della fiaba si nasconde un significato più profondo da assaporare, un'interpretazione più sottile da cogliere, l'invito a una cordiale riflessione sul nostro animo, sulla condizione stessa dell'uomo, sui rapporti con i suoi simili e con il resto della Natura.
Non vi sveleremo i temi dei brani per non rovinarvi il piacere della scoperta, ma giocheremo a condividere con voi la differente caratteristica che può delinearli uno a uno, la parola-chiave che distinguendoli nettamente ne amplifica l'attrattiva: ne La torretta del drago è il senso di fratellanza a spiccare, e lo fa quello di uguaglianza in Vietato pescare le sirene; ne La mia divinità emerge l'importanza della dedizione, mentre in I lupi non mentono quella degli affetti. Byakuroku lo squattrinato è incentrato sullo stupore, e Quando i bambini fanno i bravi, si sente il drago sulla redenzione; infine, ne La famiglia Inutani viene celebrata l'unicità di ogni persona.