I Segreti di Wind River, la recensione

Ultima forma possibile di western contemporaneo, I segreti di Wind River è una storia che ogni personaggio vive con un genere diverso

Critico e giornalista cinematografico


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Possiamo dire con un buon margine di certezza che qualsiasi cosa accada, in un futuro, avremo sempre Taylor Sheridan.

I Segreti di Wind River è ormai il terzo film e la terza conferma della capacità di sceneggiatore di questo texano per il quale fare cinema equivale a raccontare le tante maniere in cui oggi il mito della vita sulla frontiera è ancora vivo, occorre solo trovare i posti giusti.

I Segreti di Wind River di quei tre è l'unico che ha anche diretto e per quanto non dimostri doti eccellenti ha un controllo corretto su uno script ancora una volta impeccabile. Qui la storia è una ma può essere vista in due maniere. Un omicidio in una riserva indiana del Wyoming è indagato da un’agente dell’FBI chiamato apposta. Ad accompagnarla in quelle terre un cacciatore locale. Entrambi hanno buone ragioni per trovare il colpevole solo che lei per l’appunto indaga, lui invece caccia. Un giallo e un western, la stessa trama è vissuta diversamente con generi diversi dai due protagonisti fino a che il finale svelerà come, a Wind River, solo uno dei due paradigmi è davvero possibile e ha davvero senso.

Film con titoli che richiamano i luoghi in cui sono ambientati e nei quali gli uomini sono pupazzi utili a poter inquadrare il mondo in cui si muovono, pretesti per spiegare che se sposti gli esseri umani dalla città alla montagna selvaggia tornano ad essere bestie, e se vivi tra le bestie occorre una morale di ferro. La parte migliore di questo fantastico western moderno infatti si materializza ogni qualvolta i personaggi devono venire a patti con la dura legge del posto. Forse anche per questo un flashback che arriva a tre quarti del film per svelare quel si poteva immaginare sarebbe stato raccontato solo alla fine è uno dei momenti migliori.

Sheridan sa scrivere così bene questi personaggi, e alla fine anche questi luoghi che evidentemente conosce ed ama anche nei loro anfratti più neri, che ha la capacità non comune di sottrarre sofferenza, dolore, epica e senso di vittoria da qualsiasi azione. Il confronto tra un minatore e i colleghi invidiosi della sua donna è un attimo di rara perfezione nell’escalation di violenza, nella sua inevitabile ineluttabilità fin dal principio. Senza nessun apparente coinvolgimento Sheridan mette in scena una violenza ordinaria che non è annunciata da rivalità o tensioni, ma nasce da piccole azioni e omissioni, che pare non essere voluta da nessuno ma arriverà comunque.

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