I Primitivi, la recensione
La Aardman sceglie uno sport popolare e dà un colpo commerciale alla solita avventura. I Primitivi è un tesoro di idee, trovate e battute ma non respira come un film
È il caso anche di I Primitivi che parte dall’idea assurda di una tribù di uomini primitivi che, causa isolamento prolungato, è rimasta indietro su tutto e di colpo scopre che esistono altre persone decisamente più avanti di loro, un mondo intero che è quasi al medioevo quando loro sono all’età della pietra. È possibile pensare ad una metafora della Brexit di fronte ad ogni film britannico prodotto in questi anni che abbia a che vedere con la posizione di un popolo rispetto agli altri? In un certo senso sì e I Primitivi non fa eccezione.
Quel che anima il film però è il suo paradosso demenziale, cioè che per riottenere la proprietà della loro valle i protagonisti dovranno battere gli invasori in una partita di calcio moderno. È una trovata così scema da essere molto divertente e, ovviamente, molto commerciale. L’animazione stop motion non è propriamente la più popolare, invece prendendo in giro lo sport più famoso del mondo I Primitivi diventa in breve quel che non si credeva potesse essere, una parodia dello sport.
I grandi classici della comicità Aardman ci sono tutti, dall’uso espressivo degli animali, alle situazioni ricorrenti fino alle gag pazzesche per costruzione e realizzazione, come se i pupazzi in plastilina lavorassero da attori navigati. Nonostante infatti aderisca in pieno allo schema solito di molte commedie britanniche (la banda di provinciali brutti che si mette a fare qualcosa che non gli competerebbe tramite metodi non ortodossi ma con gran cuore), il film è un tesoro di trovate di cui ogni altra pellicola avrebbe un bisogno disperato e che qui invece sono distribuite con fare magnanimo ogni minuto. Per questo forse dispiace così tanto che al di là della sua storia e della prima impressione sui suoi personaggi non si possa leggere molto altro, proprio come nelle puntate di uno show televisivo, che però può farsi forza di una arco narrativo più grande che qui, ovviamente, non c’è.