I predatori, la recensione | Venezia 77

Uno dei film più esilaranti dell'anno e di certo l'esordio italiano determinante del 2020 è I predatori, diretto da Pietro Castellitto

Critico e giornalista cinematografico


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Pietro Castellitto è un regista. Capita raramente di poterlo dire con questa certezza al primo film. Specie nella sconfortante e conformista palude degli esordi italiani, in cui sembra una regola non inventarsi niente, non rischiare ma imitare gli altri per non cambiare niente di niente dello status quo. Come era stato possibile dirlo subito per i fratelli D’Innocenzo, così solo qualche anno dopo lo si può affermare senza dubbi al termine della visione di I predatori.

Al netto di alcune imprecisioni, di una seconda parte che vira più sul drammatico da che la prima era stata più smaccatamente comica e di una certa irresolutezza nella maniera in cui sono affrontati i personaggi (non esplorati, ma proprio presi di petto), sempre lì lì per essere conosciuti, sempre lì lì per esserci vicini ma irrimediabilmente troppo distanti, I predatori è la boccata d’aria fresca, più fresca che si sia respirata da anni a questa parte nella commedia italiana. Non è questione di quanto si rida (metro sciocco e pesante) ma di come questo avvenga e di conseguenza di come questa reazione indirizzi la percezione del mondo rappresentato.

Di film divertenti non ne mancano, di film che cambiano il senso che diamo al termine comico sì. Castellitto sembra non ispirarsi a niente, il parente più vicino pare Elia Suleiman o i film di Antonin Peretjatko, ma comunque siamo lontani. Ridiamo perché i personaggi sono ridicoli ovviamente, ridiamo perché c’è un tempo comico impeccabile e ridiamo perché siamo messi a contatto con prossimità sconvolgente al ridicolo quotidiano. Così ordinario e semplice che non richiede battute (non ci sono punchline nel film), non richiede slapstick (forse solo una scena potrebbe rientrare nella categoria) e nemmeno quella sofisticata forma di umorismo d’ambiente di Carlo Verdone.

In questo universo in cui due famiglie opposte incrociano le loro disavventure (una alto borghese e intellettuale, l’altra fascista, borghesuccia e popolare) a contare più di tutto è il punto di vista sull’umanità ed è anche ciò che nella seconda parte un po‘ affossa il film, finendo a fargli dire quel che il cinema italiano dice sempre (meglio la vitalità della borgata dell'altera freddezza dei più ricchi). I predatori non vuole infatti ribaltare il senso della realtà come fanno i film demenziali ma vuole enfatizzare solo di poco l'aspetto ridicolo del quotidiano. È come guardiamo eventi molto ordinari, come funziona il montaggio interno e come è gestito il cast o il sonoro a stravolgere le situazioni. Piccoli dettagli ben scelti e cruciali.

Non è facile ovviamente. Pietro Castellitto (che qui è anche attore) padroneggia un tempo comico eccezionale ma quel che stupisce è come riesca a fare il vero lavoro di un regista, cioè come diriga il tempo comico altrui, mettendo in scena gli attori, muovendoli nello spazio e consentendogli di raggiungere quello che ha in testa con una precisione che, visto il risultato di scena in scena, è impressionante.
In questo modo una storia di ordinarie coincidenze e straordinarie idiozie  riesce a mostrare l’inadeguatezza umana, a tratti anche con un affetto coinvolgente (specie nel caso della famiglia fascista) e sempre con un acume eccezionale nel notare qualcosa di nuovo che ogni giorno, ogni ora e ogni minuto, ci rende affettuosamente ridicoli.

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