I Pinguini di Madagascar, la recensione

Lo spin-off su I pinguini di Madagascar delude: privo di qualsiasi personalità sembra un episodio televisivo troppo lungo

Critico e giornalista cinematografico


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È stata pigra la Dreamworks o l'idea di uno spin-off sui pinguini di Madagascar era perdente in partenza? Qui si propende per la prima ipotesi (perchè nessun film è perdente in sè, solo le opere finite lo sono) visto quanto questo primo film dedicato alla truppa di animali di inesorabile precisione e comica gerarchia sia lontano dal cinema, cosa che in sè non è male, solo non per più di un'ora e mezza e non sul grande schermo.

La storia racconta brevemente le origini dei 4 e stabilisce il conflitto che porterà avanti la trama, ovvero uno dei 4 pinguini ("Soldato") è il nuovo arrivato, viene eccessivamente protetto e non si sente mai veramente utile come gli altri, specie di fronte al timoniere Skipper. A loro si contrappone un villain che più televisivo non si poteva e gli si affiancano i vendicatori dell'Antartico, Vento Del Nord, che dal nome sembrano un partito di estrema destra finlandese.

E dire che lo svolgimento della storia, almeno nelle premesse, sembrava efficace! Come in Toy Story 2 anche I Pinguini di Madagascar è un film in corsa, che sfrutta la caratteristica principale del quartetto, cioè la velocità e la sicurezza nel risolvere in maniere paradossali le situazioni. I pinguini sono comici perchè vincenti in situazioni in cui chiunque sarebbe perdente, non temono nulla, mettono a punto piani senza senso che tuttavia con la loro fiducia in se stessi non falliscono mai, mentre per molte figure comiche la parte divertente è il fallimento, come si fanno male o come sbagliano cose semplici, per i pinguini è il trionfo paradossale a divertire. Il continuo spostarsi e il gran ritmo del film aiutano questa messa in scena e, fatta eccezione per dei momenti tirati troppo per le lunghe (l'estenuante finale e la corsa a Venezia), sono anche divertenti. È tutto il resto a crollare, ovvero la scelta di non avere una narrazione ampia ma troppo chiusa in sè, mai capace di creare un immaginario e sempre a ricasco di uno esistente, quindi televisiva.

Se Madagascar, a tratti almeno, cercava di essere qualcosa di più e nel suo terzo episodio recuperava una genuina demenzialità che lo rendeva quasi un anarchico film di Mel Brooks o dei Marx (non così geniale però!) adattato ai tempi moderni, privo di una trama vera e propria ma capace di inventare immagini e gag visive di primo livello, I Pinguini di Madagascar ha un immaginario che pare assemblato con gli scarti della fantasia dei creativi DreamWorks.

La pigrizia con la quale è concepito ogni momento, l'incapacità di avere un segno personale sono disarmanti e se non stupiscono da Simon J. Smith (anche il suo Bee Movie, per quanto più divertente, aveva questo difetto) è strano che venga da Eric Darnell che invece aveva realizzato i film di Madagascar.

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