I pinguini di mr. Popper - la recensione

Tra ottimi pinguini digitali e pessimi attori reali, l'impegno di Jim Carrey è ai minimi storici. E senza quest'unica possibile scintilla di interesse rimane ben poco...

Critico e giornalista cinematografico


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Ci vorrebbe tutto uno studio a parte sul cinema con animali diretto ad un target infantile. Capolavoro di fatica ed addestramento negli anni '60 e con il passare del tempo sempre più cinema dello stato dell'arte della tecnologia e dell'interazione tra reale e irreale.

Più noti per essere dei punti di riferimento nell'evoluzione del motion capture o nel realismo della CG i film "con animali" (parlanti o meno) sono un genere a sè che incorpora parte delle dinamiche della commedia sofisticata, come l'ambientazione altoborghese possibilmente newyorchese o la dinamica conquista/tradimento della fiducia. I pinguini di mr. Popper non fa eccezione da nessun punto di vista e inoltre porta avanti uno dei temi più cari alle commedie leggere di Jim Carrey: i genitori insolventi.

La storia di mr. Popper, padre scapestrato e senza il tempo da dedicare ai suoi figli che, grazie all'inaspettato regalo di sei pinguini, impara a dedicare ai suoi ragazzi il tempo che meritano e rimette in carreggiata la sua vita rivoltando l'ordine delle priorità (non più il lavoro davanti a tutto), non è troppo distante dalle molte altre interpretate da Carrey a partire da Bugiardo Bugiardo fino a Yes Man passando per Una settimana da Dio. Quali siano stati i problemi dell'attore con la sua figura paterna non è dato saperlo ma un sospetto viene. L'eterno Scrooge che solo (e finalmente) nel film di Zemeckis ha dato vita al personaggio intorno al quale gira da tutta una carriera, qui limita molto smorfie e gag slapstick, concedendosi quasi con imbarazzo alcune imitazioni e qualche demenziale gag.

Il risultato è quello che inevitabilmente doveva accadere. Limando anche quella parte di follia insensata che Carrey sapeva portare a queste commedie, non rimane nulla. E fondandosi questo tipo di produzione sull'individualità dell'attore protagonista, il film crolla assieme a lui nell'insensatezza. Menzione d'onore come si conviene ai pinguini digitali, più veri del vero e finalmente ben poco "fumettosi". Tra poche settimane Neil Patrick Harris, sempre a New York, dovrà vedersela con i Puffi digitali ma difficilmente si può ipotizzare che l'interazione tra reale e fasullo raggiungerà simili livelli. La scelta di avere degli animali estremamente verosimili era rischiosa, più ci si avvicina al vero più si rischia di far notare al pubblico le differenze invece che le somiglianze, ma la fusione è lo stesso perfetta.

Insomma, un film per bambini che paradossalmente è più per ingegneri, disegnatori e programmatori di computer grafica.

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