I pinguini di mr. Popper - la recensione
Tra ottimi pinguini digitali e pessimi attori reali, l'impegno di Jim Carrey è ai minimi storici. E senza quest'unica possibile scintilla di interesse rimane ben poco...
Ci vorrebbe tutto uno studio a parte sul cinema con animali diretto ad un target infantile. Capolavoro di fatica ed addestramento negli anni '60 e con il passare del tempo sempre più cinema dello stato dell'arte della tecnologia e dell'interazione tra reale e irreale.
La storia di mr. Popper, padre scapestrato e senza il tempo da dedicare ai suoi figli che, grazie all'inaspettato regalo di sei pinguini, impara a dedicare ai suoi ragazzi il tempo che meritano e rimette in carreggiata la sua vita rivoltando l'ordine delle priorità (non più il lavoro davanti a tutto), non è troppo distante dalle molte altre interpretate da Carrey a partire da Bugiardo Bugiardo fino a Yes Man passando per Una settimana da Dio. Quali siano stati i problemi dell'attore con la sua figura paterna non è dato saperlo ma un sospetto viene. L'eterno Scrooge che solo (e finalmente) nel film di Zemeckis ha dato vita al personaggio intorno al quale gira da tutta una carriera, qui limita molto smorfie e gag slapstick, concedendosi quasi con imbarazzo alcune imitazioni e qualche demenziale gag.
Insomma, un film per bambini che paradossalmente è più per ingegneri, disegnatori e programmatori di computer grafica.