I Peggiori, la recensione
Nonostante cerchi di essere una versione più adeguata ai tempi della classica commedia nostrana, I Peggiori è un vecchio film mascherato da nuovo
Purtroppo i riferimenti a questi due film finiscono qui, e per il resto I Peggiori risulta essere una comune commedia italiana come se ne sono scritte negli ultimi anni passata attraverso un maquillage di fotografia (soprattutto) e costumi per farla apparire diversa.
Pure volendo superare questo contrasto tra un film scritto tradizionalmente come molti altri, vestito però con un altro abito, I Peggiori ha diversi problemi interni alla trama (la motivazione che spinge i due a delinquere non è percepita come realmente pressante), di casting (i volti scelti, da Francesco Paolantoni a Biagio Izzo, tradiscono la vera vocazione del film e non sono mai davvero in parte), di azione (vorrebbe avere diverse scene di combattimento ma sono mostrate malissimo) e soprattutto di villain, un’imprenditrice perfida e fasulla come non vedevamo dal Faletti di Cemento Armato, una capace a un certo punto di dire “Io li odio i bambini!” come potrebbe fare Gargamella.
Eppure non è nemmeno questo quel che più stona e infastidisce di I Peggiori. Il film sembra infatti non rispondere davvero alla logica classica dell’eroismo da fumetto (con o senza i poteri) ovvero la vocazione di un singolo o un gruppo a raddrizzare dei torti agendo nell’ombra, ma più a quella della “giustizia alternativa” da televisione. Là dove non arriva la vera giustizia ci pensa lo svergognamento pubblico, che non cambia il crimine o il misfatto, non ribalta una situazione ma semplicemente espone la vittima al pubblico ludibrio. È esattamente la logica del Gabibbo o di Le Iene, delle trasmissioni televisive che vengono interpellate da chi pensa di aver subito un torto che la legge non sanerà. Non c’è nessuna forma di controllo se c’è stato davvero un illecito o un sopruso perché il ludibrio pubblico è l’unica cosa che conta, in tv come online, lo svergognamento. E I Peggiori sembra avallare in pieno questo modo di operare, privando i protagonisti di un sistema per appurare la “malvagità” delle proprie vittime fidandosi della vulgata di chi si professa vittima.