La recensione di I peggiori giorni, il film a episodi sequel di I migliori giorni, al cinema dal 14 agosto
Questo è il secondo capitolo di una ideale trilogia in via di completamento e viene dopo
I migliori giorni. La struttura è la stessa: alcune famiglie (una è proprio la stessa) si incontrano in alcune date topiche dell’anno, e si scontrano. Si scontrano tra di loro ma si scontrano anche le loro idee e visioni di mondo. Sono personaggi singoli ma in un modo o nell’altro simboleggiano alcune spinte che esistono nella nostra società. Una famiglia deve prendere una decisione riguardo la donazione di un rene ad un padre molto vecchio (un intreccio da commedia italiana caustica classica); un operaio prende in ostaggio il suo padrone che è anche suo parente; dei genitori i cui figli hanno messo online un video terribile cercano di risolvere la situazione; un uomo che deve passare sopra a delle umiliazioni per la figlia viene a patti con il suo passato.
In teoria non c’è differenza con il film precedente. Queste storie potevano tutte stare in quello come in questo. È un prolungamento. Ma per la maggior parte del tempo I peggiori giorni è molto più teso di I migliori giorni, quindi molto più vedibile. È anche più banale in un certo senso, perché gli intrecci e i contrasti sono più prevedibili negli esiti, ma almeno c’è un bel ritmo e i personaggi giusti per le trame giuste. In certi casi, come quello del padrone e dell’operaio poi l’esito, per quanto rientri nel consueto, è ben portato e c’è un trasporto non banale nel prendere una posizione che (per il cinema italiano!) non è sempre usuale, e Bentivoglio e Battiston esprimono un’energia forte e tangibile che rende tutto incattivito come serve.
Sono gli ultimi due episodi a perdere un po’ di mordente e mostrare i limiti di questo modello. Il terzo infatti è una storia che i film italiani recentemente raccontano molto e non fa niente per discostarsi dal già detto. È un nodo scoperto della società che viene affrontato sempre nella stessa maniera: dal punto di vista dei genitori, come se il grande conflitto di un video diffamatorio, infame e penalmente grave fosse solo lì. E come sempre anche qui c’è di mezzo un conflitto di classe (ma sarebbe meglio dire culturale) in cui emerge con potenza
Claudia Pandolfi (anche lei che energia!). Il contrasto è quello tra la radice classica italiana (patriarcato, maschilismo, desiderio di farla franca) e tutte le nuove istanze della società più civile, quella che vuole rispettare le regole e desidera un paese migliore (non sempre essendo migliori in primis). Gli manca tutto per essere vivo.
Ma mai come al quarto episodio, a cui manca anche un’interpretazione dinamica. Non era male l’idea di scegliere Rocco Papaleo come padre umiliato, stanco ma innamorato della figlia, clown triste a cui viene chiesto di essere proprio quello da un infame con cui ha un odio atavico. E non era male Giovanni Storti in quel secondo ruolo. Ma obiettivamente è tutto così stantio e svogliato, specialmente Rocco Papaleo, che davvero si fatica ad arrivare alla fine.