I Mercenari 3, la recensione

Al terzo capitolo possiamo dire che il vero problema dei mercenari è di non avere identità, essere un gruppo di attori che ripropongono se stessi e non di personaggi in una storia

Critico e giornalista cinematografico


Condividi
"Stavolta ci sono tutti!" è l'effetto che ad ogni capitolo di I Mercenari Sylvester Stallone (vera mente e forza propulsiva dietro il progetto) vuole ricreare, un accumulo di nomi che dia quanto più possibile l'idea di completezza (anche se forse il massimo in questo senso si è raggiunto nel secondo film), una volontà di saturazione come se l'azione cercata, quella in stile anni '80, fosse misurabile e la presenza dei volti simbolici ne accrescesse il quantitativo. Così non è e la serie di I mercenari lo dimostra, nascendo proprio per mettere in sala action vecchio stampo e non riuscendo mai a proiettare sullo schermo la versione moderna di quel che più piaceva del passato. La verità è che l'azione ben fatta esiste anche oggi, non necessariamente si rifà agli anni '80 e non somiglia a I mercenari, un'operazione nostalgia ha senso ma almeno dovrebbe essere un calco ben fatto.

In questo terzo film con un espediente di poco conto si creano due squadre parallele, una di giovani e una di più "maturi", così da affiancare ad attori che necessitano di molti stuntmen una serie di altri che possano fare davvero quel che si vede, riportando una delle caratteristiche fondamentali del genere: la prestazione dal vivo. È anche indubbio che la dedizione alla causa stavolta dia vita ad alcune sequenze dinamiche, furiose e in grande stile che prima mancavano o avevano meno forza. Tuttavia l'impressione è che, sebbene non manchi nessun elemento dalla lista "Cose che devono esserci in un film d'azione d'altri tempi", lo stesso non si raggiunga l'afflato mitico dei film che Stallone vorrebbe ricreare. Al contrario spesso I mercenari 3 cerca una modernità nettamente fuori luogo (riguardo l'esplicito ammiccamento gay tra due personaggi davvero improbabili, è seriamente meglio far finta di niente, sembrano i nonni che cercano di fare i giovani).

Difficile non individuare il motivo di tutto ciò nella natura stessa dell'operazione. Se il primo film (nettamente il più riuscito) si concentrava molto sulla coppia Stallone/Statham, dando loro spazio sufficiente a mostrare un carattere duro e volitivo, una forza umana e un cuore indomabili (come l'etica del cinema di Stallone comanda), i seguenti due film saltano di palo in frasca, di personaggio in personaggio continuamente. Costretti a seguire ogni star assecondando le caratteristiche che storicamente hanno sempre avuto i loro personaggi si mescolano toni differenti, ognuno ripropone lo stereotipo di se stesso perdendo il senso stesso di I mercenari. Il teaser trailer del film vuole rievocare Quella sporca dozzina ma il risultato finale non è mai un film su un gruppo di disperati pronti a tutto, quanto su un gruppo di individualità, ognuna estrema e strana ma a modo suo, come si trattasse di un film ad episodi molto incrociati dove ogni filone ha un tono un po' diverso.

Sullo schermo inevitabilmente vediamo Arnold Schwarzenegger o Jason Statham oppure una comparsata all'improvviso di Harrison Ford e mai invece i personaggi che stanno interpretando. Cosa che è anche divertente, ma solo per i primi minuti del primo film, perchè poi manca la costruzione di una nuova identità. Non ricorderemo mai nessun personaggio della serie I mercenari perchè non esistono, sono flebili simulacri degli attori.

Continua a leggere su BadTaste